giovedì 29 maggio 2008

Modulo sulla memoria

MODULO DI ITALIANO

TITOLO: La memoria e le sue espressioni nella letteratura dell’800 e del ‘900.

DESTINATARI: Studenti dell’ultimo anno di un Liceo Scientifico.

SOMMARIO: Il presente modulo, prendendo in esame autori che
hanno caratterizzato gli ultimi due secoli della nostra letteratura,segnandola
profondamente, si propone di evidenziare l’evoluzione che il concetto di
memoria ha avuto nel corso del tempo, partendo da Montale, fino ad
arrivare, in un percorso cronologico a ritroso, a Foscolo, che ne sottolinea
la sua funzione eternatrice e il valore della poesia come strategia di
immortalità in conflitto contro il tempo e l’oblio.

MOTIVAZIONE: La scelta del tema della memoria è sembrata
opportuna perché sentita molto vicina alla sensibilità dell’alunno e
facilmente comprensibile per la sua immediatezza. La memoria sta alla
base di ciò che conosciamo, ci permette di tenere vivi i legami con la nostra
storia personale, con le esperienze già vissute e ci propone, di conseguenza,
strategie per affrontare quelle nuove. Essa ha un profondo legame con la
nostra autocoscienza e ci permette di identificarci rispetto al mondo e
rispetto agli altri. La strutturazione di un modulo tematico sulla memoria è
funzionale a rendere consapevoli gli alunni di quanto la letteratura si possa
considerare uno dei luoghi in cui avviene la definizione della coscienza di
una nazione, nelle sue strutture ideologiche, politiche, civili, attraverso la
circoscrizione di un condivisibile concetto d'identità.

FINALITÁ:
Avvicinare lo studente a problematiche di carattere cronologico, storico e letterario
Sviluppare negli allievi la capacità di comprendere l’evoluzione di un percorso ideologico.

OBIETTIVI:
Storicizzare il tema, comprendendone la funzione nell’immaginario collettivo e nei modelli culturali dei secoli ‘800 e ‘900.
Comparare autori presi in esame, individuandone eventuali analogie e differenze.
Individuare le linee fondamentali e costanti nel tempo del tema della memoria.
Saper procedere ad una corretta lettura e parafrasi del testo poetico,
interpretandone il messaggio e riconoscendone le forme.

PRE – REQUISITI:
Conoscenza degli elementi fondamentali del contesto storico preso in esame.
Conoscenza degli autori e del loro pensiero.
Conoscenza delle tecniche principali dell’analisi del testo.


CONTENUTI:

I^ UD MONTALE: La memoria come faticosa e inutile ricerca di identità, nell’impossibile recupero del passato: Cigola la carrucola del pozzo; Casa sul mare; Non recidere, forbice, quel volto; La casa dei doganieri.
II^ UD UNGARETTI: La memoria come fardello dei ricordi personali che l’uomo porta con sé: In memoria; I fiumi; Girovago; Tutto ho perduto; Nessuno, mamma ,ha mai sofferto tanto.
III^ UD SVEVO: La pratica della memoria alla ricerca di sé: “La coscienza di Zeno”.
IV^ UD LEOPARDI: La memoria come filtro che rende indefinite e poetiche le cose, strettamente congiunta al ricordo della fanciullezza: Zibaldone (passi scelti); Alla luna; La sera del dì di festa;A Silvia; Le Ricordanze.
V^UD MANZONI: La memoria come storia, componente del vero manzoniano
VI^ UD FOSCOLO: La memoria come garanzia della sopravvivenza dopo la morte: I Sepolcri; All’amica risanata.

METODOLOGIA: Le lezioni prevederanno momenti frontali introduttivi e si svilupperanno con gli apporti della didattica dialogico – cooperativa. L’incontro con i testi letterari si articolerà nell’analisi, individuale e successivamente di gruppo, dei brani scelti di volta in volta, con l’intento di incoraggiare la socializzazione e le abilità di relazione.



STRUMENTI:
Libri di testo
Manuali
Supporti filmici e multimediali

TEMPI: I tempi previsti per ciascuna unità didattica saranno di cinque ore, nel corso del I quadrimestre, per un totale di 30 ore, di cui 24+6 di verifica.
Il modulo può essere programmato e svolto nel mese di Gennaio, in stretta concomitanza temporale con “Il giorno della Memoria”, istituito il 27 gennaio, appunto, con un decreto legge del 2000 dal Parlamento Italiano per ricordare le vittime della persecuzione ebrea.
Ciò rende concreta la possibilità di un coerente intreccio interdisciplinare con la storia; inoltre il percorso tematico consente di articolare il rapporto passato-presente e di superare la tradizionale linearità cronologica.
.

ACCORDI INTERDISCIPLINARI:
Filosofia: BERGSON → La memoria come totalità del vissuto, da cui
emerge il ricordo, come selezione operata dal
cervello.
PROUST → La memoria come mezzo per riattivare il tempo
perduto, e ricrearlo (memoria involontaria): da
Alla ricerca del tempo perduto, “le intermittenze
del cuore”
Storia: Il dibattito storiografico sull’importanza della memoria dei crimini e delle persecuzioni perpetrate dai regimi totalitari, per evitare il ripetersi di fatti analoghi.
Storia dell’arte: Canova e la funzione eternatrice dell’arte come memoria
di un passato indelebile
Goya e il ricordo doloroso della guerra: Guernica
Dalì e l’imprescindibilità del tempo: La persistenza della
Memoria.

VALUTAZIONI E VERIFICHE: La valutazione, oltre ad intendere il raggiungimento degli obiettivi contenutistici stabiliti, terrà conto della partecipazione in classe e degli apporti personali d’approfondimento o critica, nonché del grado di consapevolezza dimostrata nelle relazioni previste. Le verifiche si articoleranno in due momenti:





IN ITINERE:
Colloquio orale
Test strutturati e semistrutturati

FINALI:
Relazione singola o di gruppo sul percorso sviluppato.






























I^ UD MONTALE

TITOLO: La memoria in E. Montale: faticosa e inutile ricerca d’identità nell’impossibile recupero del passato.

MOTIVAZIONI: per il seguente modulo si è scelto di trattare un autore come Montale, nella cui poetica è possibile scorgere passaggi importanti legati al ruolo che la memoria assume in relazione all’identità personale.
Un animo fortemente sensibile alle problematiche esistenziali, che da sempre accompagnano l’uomo nella sua esistenza, ha reso, inoltre, gli scritti firmati da Montale ancora oggi incredibilmente attuali. Pertanto egli maggiormente si presta ad un’analisi critica e partecipata, sia per quanto riguarda le tematiche che gli stili, da parte dei discenti.

PRE-REQUISITI: conoscenza del panorama storico-letterario in cui visse l’autore, delle principali tappe della sua biografia e della poetica.

OBIETTIVI DIDATTICI: apprendimento delle linee poetiche dell’autore attraverso le sue principali poesie. Sviluppo delle capacità di sintesi mediante l’analisi diretta dei testi, con l’individuazione delle tematiche ricorrenti e il loro legame con la vita dell’autore.

CONTENUTI: il tema della memoria e i suoi diversi volti nella poetica di E. Montale. In particolare, l’evoluzione che esso subisce attraverso le raccolte Ossi di Seppia e Occasioni.

“Io mi considero un uomo che vive dentro un mistero ineffabile che continuamente lo tenta e non si lascia penetrare. La mia poesia è un diario intimo di questo uomo la cui esistenza oscilla tra memoria ed oblio”.
Eugenio Montale con queste parole definisce se stesso e la sua poesia e, nessuna frase, meglio di questa, è in grado di spiegare la complessità dell’universo esistenziale di Montale, nonché il profondo valore che questi conferisce alla memoria, sulla base della quale si dipana tutta la sua esistenza e alla quale affida tutta la sua felicità. Non a caso, infatti, questa tenderà ad assumere un’importanza rilevante per il nostro autore, il quale, è volto, costantemente, attraverso la sua poesia, ad attingere al mistero oscuro che permea tutte le cose. Si sofferma, in particolare, sulla condizione esistenziale dell’uomo, profondamente infelice, in quanto priva di certezze ed illusioni; non a caso, infatti, per Montale si è coniata l’espressione male di vivere, a voler sottolineare uno stato di malessere che è insito nell’esistenza stessa.
Nei confronti di tale male emerge solo un senso di impotenza da parte del poeta, al quale non resta altro che rispecchiare questo malessere all’interno della propria poesia, inevitabilmente arida, ma sempre intrisa di una vana speranza di trovare un varco che si apra sul mistero della vita.
Tutta la sua poesia appare per lo più concentrata su brevi momenti dell’esistenza, quest’ultima profondamente segnata dalla memoria, considerata nelle sue implicazioni di categoria storica più che di generica facoltà.
C’è da dire che un discorso sulla memoria montaliana non può prescindere da un accenno alla concezione del tempo secondo il Ligure, elemento questo profondamente importante per capire la valenza negativa che la memoria tende ad assumere in tutte le sue liriche in quanto legata all’impossibilità di recuperare i ricordi e il passato, inevitabilmente oscurati dall’incessante fluire degli istanti. Il tempo, infatti, è crudele, proprio perché va per conto suo nella dimensione del mondo. Bisogna distinguere una duplice prospettiva temporale presente in Montale, ossia un tempo impersonale e uno personale, il primo oggettivo e l’altro soggettivo, due dimensioni che tendono ad evolversi indipendentemente l’una dall’altra. Di conseguenza il tempo oggettivo, ossia quello esteriore alla nostra interiorità, può trascorrere indipendentemente dal tempo esistenziale, quello degli eventi privati. Questa teoria fa capo sia al filosofo Bergson, sia al congegno memoriale presente nella Recherche di Proust, del quale Montale era un profondo conoscitore.
Lo stesso Montale assimila la lezione proustiana, tuttavia, rispetto al suo modello, la memoria di Montale non dura, perché anche un volto, un ricordo, svaniscono nell’indistinta nebbia del passato, finendo per annullarsi nell’anonimato. Questa talvolta può offrirci solo ricordi scialbi e banali e quindi non è in grado di restituirci una felicità perduta, in altri casi, invece, può anche sorprenderci in un lampo improvviso che ci sveli un attimo. Bisogna dunque distinguere questa duplice funzione della memoria, che induce Montale a definirla, specialmente in alcune liriche, come memoria che giova e memoria che non giova, di conseguenza vista come peccato.
La memoria che giova è quella che offre ricordi a una nuova vita, quindi le immagini consentono il ritrovamento del passato e si risolvono nel presente; si tratta di ricordi conservati a livello di coscienza. La memoria che non giova, invece, non è in grado di riportare alla mente i ricordi, i quali sono contenuti nell’inconscio e proprio perché non sono in grado di emergere diventano causa della moderna nevrosi. Si tratta sempre di una memoria arbitraria e involontaria, nel senso che è lei a decidere chi deve apparire in ricordo e chi invece no, magari stimolata da qualche richiamo esterno al poeta stesso.
Pertanto, essa spesso dipende dagli oggetti che scandiscono la nostra esistenza, i quali costituiscono degli emblemi intrisi di mistero. Proprio per questo tutto trova la propria espressione e definizione in oggetti ben definiti e concreti, perché essi rappresentano la trasposizione oggettiva di un dato interiore, sono, quindi, coloro che consentono di dare vitalità al tempo ritrovato. Tale tensione, ossia di tendere al passato, si rivela in modo costante in tutte le liriche di Montale; infatti, come afferma Contorbia in un saggio sul poeta ligure “c’è nel clima poetico di Montale, come ultima fede superstite, la sensazione che, da qualche parte, in altro spazio, in altro tempo da quelli nostri umani e terreni, esista un assoluto di splendore e di felicità: un punto miracoloso, dove i destini non falliscano, i conti tornino, le domande abbiano risposta”. Tuttavia questa speranza di felicità, legata alla memoria, è inevitabilmente destinata a fallire, perché quest’ultima, oscurata e cancellata dall’inevitabile fluire del tempo, non è in grado di recuperare i momenti dell’esistenza che sono stati causa della nostra gioia. Si approfondisce così il solco che la memoria scava fra i momenti di un passato felice e un presente sempre più vuoto e deludente. Quanto detto emerge chiaramente sin dalle prime raccolte, tanto che è possibile rivolgere l’attenzione ad alcune poesie, in modo da poter attuare un riscontro diretto di una tale concezione, nonché avviare un confronto tra esse.
Nella raccolta Ossi di Seppia, uscita nel 1925, Montale tende a sottolineare l’aridità dell’universo poetico, un’erosione e un logoramento operato dalla natura, e quindi si allude al carattere povero dell’ispirazione, la quale si concentra solo sul desiderio di recupero del passato. A tal proposito significative si rivelano due poesie: Cigola la carrucola del pozzo e Casa sul mare. La prima mostra emblematicamente il desiderio del nostro poeta di appropriarsi del passato, delle immagini di un tempo felice, alle quali è legata l’unica possibilità di recuperare la propria identità. Tuttavia tale esperienza si rivela inevitabilmente fallimentare, tanto da concludersi con l’amara rassegnazione da parte del poeta ad un destino che separa l’uomo dalle sue memorie:
Cigola la carrucola del pozzo,
l’acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un’immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro…ah che già stride
la ruota, ti ridona all’atro fondo,
visione, una distanza ci divide.


La struttura della lirica, con una spezzatura del verso 7 che sembra infrangere l’andamento omogeneo del testo, rispecchia nient’altro che i due diversi stati d’animo che vi si fondono. Infatti ad una prima fase di speranza, dove la risalita dell’acqua sembra promettere gioia e liberazione, data soprattutto dall’immagine del ricordo che tremolante appare nel secchio con l’acqua, corrisponde una seconda fase di completa rassegnazione data dall’impossibilità per il poeta di toccare le labbra della donna amata, che evanescenti mostrano la loro completa inafferrabilità perché immagine evocativa. Tale impossibilità dà al poeta la coscienza di un passato non più afferrabile, di un passato che lo fa sentire diverso ed estraneo e che pertanto mostra come non sia più possibile ricostruire la sua identità. L’interiezione ah che già stride mostra il rammarico per una tale consapevolezza, infatti il ridiscendere del secchio esprime la distanza abissale (prodotta dal tempo) che ormai divide il poeta dal suo passato. C’è, inoltre, da notare in questa lirica, la differenza tra memoria e ricordo, la prima, infatti è utilizzata in modo più specifico come l’organo nel quale sono contenuti i nostri ricordi, questi ultimi intesi come immagini di cose e persone del passato; infatti è la memoria ad essere crudele, scialba, grigia e stanca, perché incapace di ridare vita al ricordo, immagine dei trascorsi momenti felici.
Profondamente legata a questa poesia è la lirica Casa sul mare dove sin dalla prima strofa tendono a presentarsi gli elementi ricorrenti dell’universo montaliano e alcune immagini tipiche già ritrovate in Cigola:
Ora i minuti sono eguali e fissi
come i giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.


Significativo è il ricorrere dell’acqua, non solo presente dentro al secchio, come nella precedente poesia, ma qui vista in modo decisamente più ampio data la presenza del mare, il quale diviene un simbolo ricorrente nell’universo montaliano; esso, infatti, diventa emblema del destino dell’uomo.
Tu chiedi se così tutto vanisce
In questa poca nebbia di memorie,
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.


Il mare, con il moto perpetuo delle onde che si infrangono sugli scogli, sembra rispecchiare il monotono movimento della vita dell’uomo, che si ripete sempre uguale. Ritroviamo una corrispondenza tra mare – memoria, infatti, anche il mare risulta essere un termine e un ostacolo invalicabile, superficie opaca e stagnante che nulla disvela, allo stesso modo di come la memoria, per la sua impossibilità di recuperare il passato, rappresenta un ostacolo alla speranza di essere felici:
Nulla disvela se non pigri fumi
La marina che tramano di conche
I soffi leni…


Nessuna ipotesi di salvezza è più probabile, infatti, anche il mare, come la memoria, non rivela, non lascia vedere nulla se non foschie quasi immobili, che grazie al vento lasciano intravedere delle insenature, ossia brevi momenti di illusione. Tutta la poesia è intrisa della profonda rassegnazione del poeta, data non solo dalla consapevolezza della monotonia della vita e della continua ripetitività delle cose ma, ancor più, è data dall’amara constatazione che non esiste nessuna possibilità di speranza o di felicità. Ritroviamo qui l’emergere del pessimismo più completo, una sorta di esasperazione e seguito di quanto era stato trattato in Cigola la carrucola del pozzo. Se in quest’ultima, infatti, emerge ancora una speranza data dalla fuggevole illusione di recuperare il passato, qui, invece, il nostro poeta ha completamente cessato di credere, così come emerge chiaramente in alcuni versi finali che esprimono in maniera emblematica una tale rassegnazione:
Ti dono anche l’avara mia speranza.
A’nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.


Si rivolge molto probabilmente ad una donna, alla quale vorrebbe donare qualche risposta sul destino dell’uomo, che sembra irrimediabilmente condannato dal tempo, forse prospettarle anche un’ipotesi di salvezza, ma non vi riesce. L’immagine della nebbia, qui utilizzata per indicare lo svanire dei ricordi, ritornerà con la stessa valenza nella breve poesia Non recidere, forbice, quel volto, che compendia in tutti i suoi versi l’angosciosa tematica della memoria che non riesce a custodire in sé l’immagine fedele delle persone amate e, in modo più specifico, della sua donna amata. Con la Casa dei doganieri questa appartiene alla seconda raccolta poetica montaliana, Le Occasioni, pubblicata nel 1939. In tale raccolta il tema della memoria trova la sua massima definizione, infatti, come il titolo ci suggerisce, essa si sofferma su eventi cui è attribuito un particolare rilievo, in quanto potrebbero mutare il corso uniforme e monotono dell’esistenza, ma il miracolo non può compiersi. Tutto risulta essere profondamente deludente e la stessa memoria che già nella precedente raccolta aveva mostrato il proprio carattere illusorio e crudele, qui diviene ancora più labile ed evanescente, a testimonianza di una condizione esistenziale che non riesce a trovare più nessun appiglio.
Nella lirica in questione, l’impossibilità di recuperare il passato, e quindi i volti amati che hanno caratterizzato la nostra esistenza, viene esemplificata attraverso una similitudine molto intensa.
Non recidere forbice quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.

Un freddo cala…duro colpo svetta.
E l’acacia ferita da sé scrolla
Il guscio di cicala
Nella prima belletta di Novembre.


Dopo l’invocazione alla forbice, e quindi al tempo, affinché questa non tagli completamente dalla nostra memoria il ricordo del volto dell’amata (da notare sempre in Montale la già accennata distinzione tra memoria e ricordo), il quale tende a fondersi nella nebbia di sempre, si ha l’immagine dell’acacia, la quale d’autunno è colpita dall’accetta e, pertanto, lascia cadere nella melma il guscio di cicala, il quale simboleggia il ricordo felice che sta per svanire. Emerge, quindi, ancora una volta, il desiderio del poeta di trovare un varco alla negatività del vivere , alla realtà impenetrabile, nel rifugio della memoria, ma questa si presenta come un fantasma che non riesce a salvare. Il tema sotterraneo del tempo, del suo impietoso disertare il presente è reso ancor più drammatico dal metaforico sforbiciare che porta l’io del poeta all’impotenza. La stessa condizione di impotenza emerge anche nella Casa dei doganieri, seppure in questa il tema della memoria tende ad arricchirsi di altre connotazioni e altri problemi.
Tu non ricordi…
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
La tua memoria; un filo s’addipana.


L’invocazione diretta alla donna, con cui si apre il componimento e che sembra pienamente richiamare A Silvia di Leopardi, mostra sin dall’inizio l’impossibilità del ricordo, derivante dalla morte della donna amata. Per questo, nel componimento, circola un’atmosfera di inquietudine e di angoscia soffocata, che danno la sensazione di un limite oltre il quale non è più possibile procedere. Il ricordo è presente, è nitido, ma qui emerge il problema di un ricordo unidirezionale, ossia non condivisibile con le persone con cui si è vissuti quei momenti. Altro tempo, altre esperienze (ultraterrene in questo caso) travolgono la figura che fu compagna al poeta. Pertanto a nulla vale il ricordo se uno dei fili si addipana, se la memoria è solo del poeta.
Il varco è qui? (ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende…).
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.


La strofa finale ci mostra chiaramente come il varco, ossia la possibilità di evadere dalla prigione della condizione esistenziale, sia impossibile, tanto che il poeta, come punto estremo del suo pessimismo, non sa dire chi effettivamente muoia, colui che resta in vita o colui che muore realmente. In realtà nell’ultimo verso si evidenzia la risposta stessa all’interrogativa indiretta: la vera morte è la vita, perché si è inevitabilmente prigionieri di una condizione esistenziale di dolore.













VERIFICA

Che cosa si intende con male di vivere?
Quali sono i modelli a cui Montale si rifà per la sua concezione di memoria?
Quale valenza assume la memoria in Montale e come è suddivisa dallo stesso?
In che modo è vista la memoria in Cigola la carrucola del pozzo? Quale è la differenza tra memoria e ricordo?
In Casa sul mare si notano differenze rispetto alla concezione della memoria emersa nella precedente lirica?
Quale è l’intensa similitudine su cui si basa la lirica Non recidere, forbice, quel volto?
In che modo, in Casa sul mare, la memoria si arricchisce di un ulteriore aspetto? Come si conclude la lirica?


BIBLIOGRAFIA

ANTONIELLI S., La memoria di Montale, in Studi in memoria di Luigi Russo, Nistri – Lischi, Pisa 1974.
BALDISSONE G., Il male di scrivere: l’inconscio e Montale, Einaudi, Torino 1979.
MONTALE E., Poesie scelte a cura di M. Forti, Mondadori, Milano 1994.
MONTALE E., Il modernismo e altri saggi montaliani a cura di F. Contorbia, Genova 1999.
SCRIVANO R., Metafore e miti di E. Montale, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli 1997.











II^ UD UNGARETTI

TITOLO: La memoria come fardello dei ricordi personali che l’uomo porta con sé. .
MOTIVAZIONE: La scelta di Ungaretti è giustificata dal fatto che egli è stato uno dei primi autori del nostro Novecento ad approfondire il tema della memoria nella sua poetica e, dunque, alcune delle sue poesie rappresentano un percorso indispensabile per analizzare ed assimilare tale concetto.
PRE-REQUISITI:
Conoscenza della vita e delle opere di Giuseppe Ungaretti;
Conoscenza del contesto storico in cui l’autore è vissuto;
Discreta conoscenza degli autori che hanno fortemente influenzato la sua esperienza poetica;
Conoscenza delle linee fondamentali della poetica dell’autore.
OBIETTIVI SPECIFICI:
Capacità di collegamento tra gli autori di epoche letterarie diverse, attraverso una tematica comune;
Capacità di sintesi;
Capacità analitica e riflessiva;
Buona conoscenza dell’analisi testuale.
CONTENUTO:
Funzione della memoria nelle raccolte di Porto Sepolto, L’Allegria, Il Dolore.



«Un uomo non può avere coscienza di sé se non per il fatto che i suoi atti divengono memoria…».
Giuseppe Ungaretti fu segnato, nella sua vita, da varie esperienze che incisero profondamente sulla sua poetica. Innanzitutto si ricordi l’esperienza della guerra combattuta in prima persona sul Carso. Non a caso, tra i vari temi affrontati, quello da cui maggiormente è stato ispirato è il tema della memoria intesa come fardello dei ricordi personali (la morte del fratello e del figlioletto) e storici (la guerra sul Carso) che l’uomo porta con sé.
Il concetto di memoria è una componente fondamentale della poetica di Ungaretti, dal momento che egli mutua tale concetto dal Petrarca e successivamente dal Leopardi. Dunque, a tale proposito, è opportuno soffermarsi sul Petrarca, dato che egli viene più volte definito da Ungaretti l’inventore della modernità, in quanto diffonde una nuova idea di tempo, per poi passare al Leopardi. La novità del Petrarca, per Ungaretti, sta nel fatto che per il poeta trecentesco ciascun uomo non può avere coscienza di sé, fino a quando tutti i suoi atti non divengono memoria; dunque, fondamentale è – in questo caso – il concetto di tempo, complementare a quello di assenza. Pertanto, il Petrarca sostiene che tutte queste nostre azioni divengono oggetto di un’esperienza vissuta solo quando divengono passato, assenza; ebbene, il bisogno incessante che tormenta il poeta trecentesco, è il desiderio di recuperare un’origine perduta che egli identifica con il mondo della classicità e l’unico modo per poter rinvenire tale innocenza - origine, è la memoria. Di qui, Ungaretti fa dello strumento poetico un mezzo per tale recupero memoriale costruendo, proprio sui concetti petrarcheschi di memoria ed assenza, la propria ispirazione dal Sentimento del Tempo in poi.
Ungaretti rimane, tra l’altro, molto influenzato dalle lezioni tenute da Bergson a Parigi intorno al 1912 a proposito del tempo inteso, dal filosofo, come durata reale. Ungaretti, sulla scia di Bergson intende mostrare quanto le sue idee siano in linea con la propria poetica e distanti dalla lezione futurista del tempo inteso come abolito in tutte le sue gerarchie. Dunque, egli, seguendo Bergson, intende la memoria come impossibilità che il presente sia presente se non è, al tempo stesso, in linea con il passato, invece rifiutato dai futuristi che sostengono una poetica dell’istante, secondo la quale tutto ciò che è, non ha passato, ma diviene immediatamente futuro. Inoltre, un posto decisamente centrale nel pensiero di Ungaretti, è occupato da un’importante dichiarazione poetica che diverrà un vero e proprio manifesto della sua poesia; il riferimento è ad un saggio critico dello stesso Ungaretti scritto nel 1926 dal titolo Innocenza e Memoria. Indubbiamente la dicotomia innocenza – memoria è stata, più d’una volta, un argomento affrontato da Ungaretti: i due termini sono completamente antitetici, poiché l’innocenza rappresenta la ricerca di una purezza edenica, originaria; la memoria rappresenta il fardello dei ricordi personali e storici che l’uomo porta con sé, attraverso la quale si può raggiungere questa origine tanto agognata; infatti dice Ungaretti che l’uomo è fatto di ricordi, la sua stessa presenza fisica è specialmente passato e, proprio questo passato, coincide con l’assenza - oblio, unico luogo in cui memoria e innocenza possono ritrovarsi. Ungaretti, dunque, intravede una via d’uscita per la modernità che coincide con l’idea di coniugare innocenza e memoria, facendo in modo che la prima si ritrovi nella seconda. Per cui, avendo chiarito in buona parte quello che è il complesso significato che Ungaretti ha attribuito alla memoria, argomento pregnante sarà la presenza della memoria nelle opere poetiche di Ungaretti, con i suoi molteplici significati.
Le prime liriche del poeta pubblicate risalgono al 1916 raccolti in Porto Sepolto; successivamente il poeta pubblicherà un’ulteriore raccolta di versi, Allegria di naufragi (1919), ma entrambe le raccolte confluiranno nel volume dal titolo L’Allegria (1931). Bisogna sottolineare tale situazione poiché, a partire dal Sentimento del Tempo, Ungaretti darà una svolta alla sua poesia passando dall’essenzialità della prima raccolta, opera dell’innocenza, alla maturazione poetica delle opere successive, luogo della memoria. Tra le poesie raccolte ne L’Allegria, emerge il ricordo personale e storico degli affetti perduti, della propria infanzia, dell’adolescenza e della dolorosissima guerra combattuta sul Carso, dove il poeta ha visto morire, ad uno ad uno, i suoi compagni. Ma soprattutto, «dal Sentimento in poi la mia ispirazione parte dal ricordo, cioè da momenti interamente assenti, scomparsi, consumati.».
Collocandola all’inizio della prima edizione del Porto sepolto, In memoria è un componimento in cui Ungaretti sottolinea la funzione esemplare del ricordo nella dimensione autobiografica; infatti, il poeta, sul filo della memoria personale, si sofferma sul ricordo di un certo Mohammed, amico arabo conosciuto a Parigi a cui egli ripensa perché la sua morte è stata causata dagli insuccessi che il protagonista ha sperimentato nella sua vita:

Si chiamava
Moammed Sceab […]
Suicida
Perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
E mutò nome
Fu Marcel
Ma non era Francese
E non sapeva più
Vivere […]
e non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono [...]
E forse io solo
so ancora
che visse



La poesia è aperta da un imperfetto si chiamava che dà l’idea di ciò che resta del passato nella memoria del poeta in maniera indelebile, data anche la scrupolosa indicazione dei riferimenti topografici. La memoria, qui, intesa – come detto – come ricordo di un amico sullo sfiorire della vita, genera nei versi del poeta una sorta di cantilena funebre. Moammed non ha radici, non ha una patria e, soprattutto, non è un riuscito a radicarsi nella poesia; dunque, non può trovare una via d’uscita attraverso la poesia. Peraltro, egli non è più arabo, ma non è riuscito nemmeno a diventare francese e la mancanza di un’identità linguistica e nazionale lo conducono al suicidio. La parte più interessante è l’ultima strofa in cui si intravedono due piani: quello del poeta, soggetto che ricorda e quello del passato, oggetto del ricordo. E, di conseguenza, il verso “E forse solo io so ancora che visse” mostra schiettamente che Moammed Sceab trova la sua ragione di esistere solo nel ricordo del poeta, che ne riconosce l’esistenza. Dunque, la memoria da Ungaretti è intesa sempre come qualcosa di fondamentale per l’uomo giacchè, attraverso di essa, si può recuperare tutto ciò che magari fino a un attimo prima si riteneva perduto per sempre; anzi, proprio la memoria permette di creare un ponte tra passato e presente. Peraltro, la poesia, inizialmente pubblicata nella raccolta del 1916, non aveva titolo; esso è stato inserito solo in un secondo tempo nella raccolta successiva del 1919.
Un altro componimento degno di essere menzionato poiché rappresenta la poesia – chiave di Porto Sepolto, è I Fiumi , dal momento che essi rappresentano una poesia di autoriflessione, di discesa in sé stesso; il titolo – tema è parte integrante del testo giacchè rappresenta un elemento decisivo. I Fiumi, rappresenta la poesia più lunga del Porto sepolto: infatti, la sua lunghezza dà proprio l’idea di un lungo fiume che scorre:
[…] Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell’universo […]

Ho ripassato
le epoche
della mia vita

Questi sono
i miei fiumi

Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre

Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d’inconsapevolezza

Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
contati nell’Isonzo

Questa è la mia nostalgia



Ungaretti amava definire questa poesia la sua carta d’identità dato che i quattro fiumi menzionati, raffigurano la storia della sua vita; difatti, è proprio il presente dell’Isonzo – che rappresenta lo scenario della guerra sul Carso - che gli riporta alla mente il ricordo di altri fiumi, legati a momenti altrettanto importanti della sua esistenza. Già dai primi versi è evidente un riferimento alla guerra, giacché l’albero mutilato di cui parla Ungaretti, rimanda ai corpi di tanti uomini colpiti dalle granate; inoltre, solo nella prima strofa, il poeta usa il presente, mentre per tutto il resto del componimento si ricorre al passato, e ciò sta ad indicare che in Ungaretti è il presente che innesca il meccanismo della memoria attraverso cui è possibile recuperare il passato. Inutile ricordare, infatti, che per Ungaretti il passato è l’unico luogo in cui il poeta può recuperare la propria identità, laddove il presente è il tempo della tragicità. Così è proprio l’Isonzo che permette al poeta di riconoscersi come parte dell’universo e di riconoscersi nel Serchio, fiume della preistoria, che scorre presso Lucca - terra natìa dei genitori - alle cui acque hanno attinto per secoli tutti i suoi antenati; ciò innesca un meccanismo particolare perché il poeta riesce a tornare indietro di tanti anni attraverso la memoria, facoltà psichica fondamentale per l’uomo in quanto gli dona, in questo caso, la gioia del ricordo. Al Serchio segue il Nilo, fiume egiziano, che lo riporta alla sua inconsapevolezza, ossia alla spensieratezza degli anni dell’infanzia e a quelli giovanili ed esso rappresenta il fiume dell’esultante incoscienza. Il terzo fiume è la Senna, che scorre a Parigi, dove il poeta approda nel 1912, che rappresenta la conoscenza di sé. Infine, nell’ultima strofa si parla di nostalgia per ognuno di quei fiumi, poiché rievocano momenti felici e ovviamente nostalgici della sua vita, dall’infanzia alla maturità. Questo componimento, viene inserito proprio al centro dell’opera, giacché I fiumi costituiscono i versi cerniera dell’intera raccolta e, non a caso, è – come già detto - la poesia più lunga.
Il seguente componimento fa riferimento alla disperata ricerca di una patria innocente, di un paese che non sia invaso dall’orrore della guerra; in realtà il tema che emerge da tale poesia, è il viaggio, ma inevitabile è il riferimento alla memoria:
In nessuna
parte
di terra
mi posso
accasare
A ogni
nuovo
Clima
che incontro
mi trovo
languente […]
E me ne stacco sempre
Straniero […]
tornato da epoche troppo
vissute
Godere un solo
minuto di vita
iniziale
Cerco un paese
innocente


Girovago, dà proprio il nome ad una delle sezioni de L’Allegria e, di questa, costituisce il terzo componimento. Qui, il poeta, allude alla propria condizione esistenziale, di uomo senza radici che non riesce a trovare un punto stabile di riferimento, un luogo sicuro in cui stare, una propria identità; dunque, Ungaretti si sente straniero ovunque vada, dato che in nessuna parte della terra si può accasare: ciò accade perché egli spera di trovare un luogo che non abbia vissuto l’orrore della guerra e il dolore che essa genera e, pertanto, sogna un paese che, anche per un solo minuto, non abbia commesso il peccato della guerra: un paese innocente. Ecco che si ritorna, in tal modo, al ricordo di quei diversi climi già respirati, che qui Ungaretti chiama epoche troppo vissute che rappresentano la propria esperienza. Ora egli si vuole distaccare da esse per poter raggiungere quella innocenza originaria tanto sospirata, anche per un solo istante. In questo caso, Ungaretti utilizza la memoria del proprio passato come mezzo per non ripetere le esperienze precedenti, ossia con la convinzione che prima o poi si raggiungerà tale innocenza definitiva o provvisoria che sia.
Altro componimento di Ungaretti, sempre riferito al tema della memoria, è Tutto ho perduto, lirica che apre la sezione de Il Dolore e che ne è il frontespizio:
Tutto ho perduto dell’infanzia
E non potrò mai più
Smemorarmi in un grido.
L’infanzia ho sotterrato
Nel fondo delle notti
E ora […]
mi separa da tutto.
Di me mi rammento che esultavo amandoti,
ed eccomi perduto
in infinito delle notti. […]



Sebbene i versi siano rivolti alla rievocazione di lutti familiari, in realtà non ricordano che la perdita dell’infanzia che corrisponde con la morte del fratello, inteso come l’ultimo testimone della sua infanzia. Il discorso riguarda il ruolo della memoria che porta dentro di sé i ricordi dolorosi della vita, mentre l’infanzia non ha memoria in quanto vive solo del suo rapporto con il presente, senza preoccuparsi del passato. Il termine smemorarmi significa, allora, perdere il peso di un passato doloroso e tornare alla fanciullezza felice, attraverso il grido, inteso come strumento di liberazione. Dunque, il contesto negativo in cui il termine si trova, indica che il poeta non potrà più perdere questo passato doloroso perché non avrà più la possibilità di – appunto – smemorarsi.
L’ultimo componimento che si è ritenuto opportuno trattare, Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto, appartiene alla raccolta de Il Dolore, ed è la prima poesia della sezione Giorno per Giorno; in essa il poeta si rivolge alla madre morta e, dunque, all’impossibilità di recuperare l’assente:
E il volto già scomparso
Ma gli occhi ancora vivi […]
Ora potrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani… […]
Come si può ch’io regga a tanta notte?...

Ma ti sentivo accanto, […]
Ora dov’è l’ingenua voce [...]?
In cielo cerco il tuo felice volto […]
Rievocherò senza rimorso sempre […]


Ungaretti si ritrova, qui, solo con la sua notte, simboleggiante qualcosa di negativo che si contrappone alla luce della vita vissuta accanto alla madre. Il dolore per l’assenza della madre è troppo forte, a tal punto che nessuno mai ha sofferto tanto. L’unica via possibile da percorrere per il poeta è quella della rievocazione di tale ricordo attraverso il sogno; non a caso Ungaretti usa verbi all’imperfetto (“volgeva”, “sentivo”) che contribuiscono a sottolineare il non – ritorno della donna. Peraltro, i sostantivi in grassetto sono segnali di una scomparsa, di qualcosa di non presente, potenziale, astratto. Addirittura le corrispondenze corporee della donna sembrerebbero richiamarsi a quelle di Antonietto, figlio del poeta, scomparso in età molto giovane. A differenza del volto, gli occhi ancora vivi illudono il poeta dandogli la debole speranza di un recupero del ricordo nella realtà. Il tema della memoria, come visto passando in rassegna vari componimenti di diverse raccolte del poeta, è un elemento costante che Ungaretti fa proprio della sua poetica, dato che costituisce – sia come memoria del ricordo personale che storico – un tassello importane ed immancabile della sua vita. Per cui, ripetendo ulteriormente il concetto, per Ungaretti la memoria è una facoltà mentale che dà a qualsiasi uomo la possibilità di ritrovare la propria identità perduta,; l’unica condizione che gli permette di riacquistarla, è il ritorno all’innocenza originaria attraverso la memoria.






VERIFICA

Chi sono i più notevoli punti di riferimento letterari che maggiormente hanno segnato la poetica ungarettiana? Una volta individuatili, esponi il concetto di memoria presente in ognuno di essi.
In che anno Ungaretti pubblicò un saggio critico che gli ha permesso di meglio chiarire la differenza tra innocenza e memoria? E di che raccolta fa parte?
Il Futurismo fu sostenuto o condannato da Ungaretti? Nell’uno o nell’altro caso, quale è stato il motivo principale che lo ha portato a questo?
A che raccolta appartiene la poesia In memoria? E, a chi si rivolge il poeta all’interno di tale componimento?
Quali ricordi riaffiorano nella mente del poeta attraverso l’immersione nel fiume della guerra, l’Isonzo?
Cos’è l’innocenza di cui tanto parla Ungaretti? E qual è la funzione della memoria in merito ad essa?
Come crede, Ungaretti, che si possa recuperare l’origine perduta e tanto desiderata?

BIBLIOGRAFIA
GIUSEPPE UNGARETTI, Vita, poetica, opere scelte, Mondadori, Milano, 2007.
GIUSEPPE UNGARETTI, Innocenza e Memoria, in Vita d’un uomo, Mondatori,1969.
DOLFI ANNA, Giuseppe Ungaretti: innocenza e memoria della poesia moderna, Firenze, 1986.
DOLFI ANNA, Ungaretti e la memoria “immemore” leopardiana, in La doppia memoria, Bulzoni ed., Firenze, 1986.
SACCONE ANTONIO, Ungaretti interprete del futurismo, in Quando l’opera interpella l’autore, a cura di Piero Pieri e Giuliana Benvenuti, Ed. Pendragon, Bologna, 2000.
SACCONE ANTONIO, In margine all’idea di traduzione di Ungaretti, in Mathesis e Mneme, Napoli, 2004, pp. 483 – 488.



III^ UD SVEVO

TITOLO: La pratica della memoria alla ricerca di sé: “La coscienza di Zeno”




MOTIVAZIONE: attraverso l’analisi linguistica e stilistica far comprendere ai ragazzi come il romanzo moderno segue la tecnica del flusso di coscienza, il monologo interiore, l’associazione di idee; uso del tempo misto nella narrazione e assenza di progressione logico-narrativa.



PRE-REQUISITI:

· conoscenza delle vicende storiche e caratteristiche fondamentali del primo 900:
· conoscenza della teoria psicoanalitica freudiana;
· competenza nell’analisi del testo:gli elementi del testo narrativo con particolare riferimento al narratore, io narrante ed io personaggio, al punto di vista (interno/esterno); caratterizzazione fisica, psicologica e sociologica dei personaggi.




FINALITÀ:

conoscere le caratteristiche fondamentali del monologo interiore:
· comprendere il concetto di memoria inteso come flusso di
coscienza e come ricostruzione di se;
· comprendere i rapporti tra Svevo e i movimenti letterari e filosofici
del tempo.




OBIETTIVI SPECIFICI:

· conoscere in maniera approfondita Italo Svevo e la pratica della
memoria nella sua opera;
· rafforzare la competenza della analisi del testo narrativo con particolare
riferimento alle tecniche proprie del romanzo psicologico.




CONTENUTI:

· analisi linguistica di brani tratti da “La coscienza di Zeno” con particolare riferimento a quelli in cui la ricostruzione della realtà attraverso la memoria è maggiormente presente:cap.3 Il fumo; cap.4 La morte di mio padre



TEMPI:
4 ore di lezione.
· 1 ora di verifica.



STRUMENTI:

BALDI –GIUSSO – RAZETTI- ZACCARIA, “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Letteratura italiana con pagine di scrittori stranieri, analisi dei testi, critica, Paravia, Torino, 1994.
LUPERINI- CASTALDI – MARCHIANI – MARCHESE, “La scrittura e l’interpretazione”, Palumbo editore.
LUNETTA MARIO, “La coscienza di Zeno”, Tascabili Economici Newton, Roma, 1997.



METODOLOGIA:


approccio alla tematica della memoria con la tecnica del brain storming
introduzione sull’autore;
· lavoro di gruppo: analisi testuale guidata finalizzata
all’individuazione del lessico e del campo semantico relativo al tema
della memoria;
· lettura di testi critici;
· schede di approfondimento e recensioni.



VERIFICHE:

Verifiche individuali di analisi e commento dei brani in oggetto:
Produzioni: verifiche strutturate e semi strutturate a risposta aperta e/o scelta multipla;
Relazioni orali e scritte ;
Schede dei testi letti


PROPOSTE DI LAVORO



1 A quale genere letterario appartiene La coscienza di Zeno:
Biografia
Autobiografia
Romanzo storico
Romanzo psicologico


2 La struttura del romanzo:
a. Procede secondo un criterio tematico
Sviluppa i nessi di causa/ effetto
Segue lo svolgimento cronologico degli eventi
Alterna alle vicende principali frequenti flash- back sulla vita del protagonista


3 Per “tempo misto” ne La coscienza di Zeno si intende:
La rievocazione i un lungo periodo d avvenimenti
La distinzione fra il tempo della scrittura e il tempo della storia
La rievocazione del passato condotta contemporaneamente da Zeno e dagli altri interventi del dottor S.
La contaminazione fra i piani temporali del presente e del passato


4 Individua qual è il tempo verbale maggiormente usato da Svevo in relazione alla memoria nel seguente brano: “La morte del padre”.


5 La fortuna critica di Svevo:
Fu esclusivamente postuma
Fu determinata dal successo de La coscienza di Zeno
Fu successiva all’interesse della critica francese e italiana al caso letterario di Svevo
Fu conseguenza dell’incontro e dell’amicizia con lo scrittore J.Joyce


6 Spiega quale chiave di lettura del romanzo viene fornita nella prefazione del dottor S.


7 Indica gli elementi linguistici e stilistici che caratterizzano la prosa di Svevo in relazione alla memoria.

8 Distingui i punti del racconto in cui l’io narratore si riferisce a se stesso al presente da quelli in cui si riferisce all’io personaggio, protagonista di eventi del passato.





















IV^ UD LEOPARDI

TITOLO: La memoria come filtro che rende indefinite e poetiche le cose, strettamente congiunta al ricordo della fanciullezza.

MOTIVAZIONE: La scelta di un autore quale Leopardi è giustificata dal fatto che questa figura costituisce un passaggio quasi obbligato di questo percorso di lavoro per la ricchezza dei motivi che presenta. Nel caso specifico, la memoria come fonte di poesia, come ricordo di un passato che è ancora presente nell’animo del poeta, evidenzia l’attualità stimolante del suo pensiero, per aiutare l’allievo a leggere la propria interiorità.

PRE-REQUISITI:

Conoscenza del contesto storico - culturale di riferimento.
Conoscenza degli aspetti generali del Romanticismo italiano ed europeo.
Conoscenza della storia zbiografica e del percorso culturale dell’autore.
Conoscenza delle linee fondamentali della poetica dell’autore.

OBIETTIVI SPECIFICI:
Cogliere, interiorizzare e attualizzare la “ dimensione universale” del
messaggio poetico leopardiano.

CONTENUTO: Funzione della memoria dai “piccoli idilli” (stagione 1819-21) ai “grandi idilli” (stagione 1828-30).
Nello Zibaldone trovano ampio spazio le riflessioni in materia di teoria e storia della letteratura e vi si trattano con profondità le tematiche dell’ indefinito e della rimembranza come fonti di poesia, con la conseguente teorizzazione del linguaggio poetico come parlare indefinito. In esso si trova spesso la prima enunciazione di motivi poetici e filosofici trattati nei Canti e nelle Operette Morali o variazioni e sviluppi di quelli: è il caso, per esempio, delle pagine 50-51, relative a certe sensazioni psicologiche dell’infanzia, che costituivano il nucleo poetico de La sera del dì di festa; mentre le riflessioni dedicate a Una giovane dai sedici ai diciotto anni, chiariscono indirettamente il significato di A Silvia. Lo Zibaldone, quindi, si presta bene ad essere letto strutturalmente, in funzione delle altre opere, o seguendo lo svolgersi dei singoli temi: è il caso del tema dell’infinito e della rimembranza, su cui il poeta più volte torna:

«…la massima parte delle immagini e sensazioni indefinite che noi proviamo pure dopo la fanciullezza e nel resto della vita, non sono altro che una rimembranza della fanciullezza, si riferiscono a lei, dipendono e derivano da lei, sono come un influsso e una conseguenza di lei…La sensazione presente non deriva immediatamente dalle cose, non è un’immagine degli oggetti, ma dalla immagine fanciullesca; una ricordanza, una ripetizione, una ripercussione o riflesso dell’immagine antica… »
( da Zibaldone, pp. 514-16, 16 gennaio 1821);

«Un oggetto qualunque, per esempio, un luogo, un sito, una campagna, per bella che sia, se non desta alcuna rimembranza, non è poetica punto a vederla…La rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico, non per altro, se non perché il presente, quale ch’egli sia, non può essere poetico, e il poetico , in uno o in altro modo, si trova sempre consistere nel lontano, nell’indefinito, nel vago»
( da Zibaldone, p. 4426, 14 dicembre 1828).

Leopardi compone negli anni dal 1819 al 1821 sei poesie definite “idilli”, tra cui L’infinito, Alla luna, La sera del dì di festa; tale denominazione deriva dal titolo dei componimenti di ambiente pastorale del poeta greco Mosco, tradotti da Leopardi nel 1815. Questi primi idilli vengono definiti “piccoli” in primo luogo per la necessità di distinguere questa prima produzione dalla seconda, avvenuta nel triennio 1828-30, e quindi equivale a “giovanili” di contro a “maturi” dell’età adulta. Il loro “cuore” sta nell’introspezione e nello svolgimento di tematiche esistenziali, come la dolcezza dell’abbandono alla memoria e alla fantasia, oggetto di questa unità didattica. Essi si ispirano alla poetica secondo la quale tutto ciò che suggerisce sensazioni indefinite è piacevole perché appaga, sia pure solo illusoriamente, quel desiderio umano di piacere infinito che non può essere soddisfatto nella realtà; ciò avviene, come Leopardi non cessa di ribadire fino al tempo dei “grandi” idilli, soprattutto in quanto quelle sensazioni indefinite altro non sono se non una ricordanza, una ripetizione di sensazioni già provate nella fanciullezza, cioè nell’unica età felice della vita, quando la conoscenza del vero non si è ancora fatta strada in noi.
Proprio le misteriose dinamiche della memoria sono il nucleo ispiratore di due idilli, Alla luna e La sera del dì di festa. Il primo, composto nel 1819 e inizialmente intitolato La Ricordanza, presenta una delle situazioni care alla lirica leopardiana: il poeta a colloquio con l’astro notturno. Lo stato d’animo rievocato è quello del piacere insito nel puro atto del ricordare, anche se ad affiorare alla coscienza è un sentimento di dolore:

O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venìa pien d’angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su questa selva
5 siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, né cangia stile,
10 o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza e il noverar l’etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
[…]
15 il rimembrar delle passate cose
ancor che triste, e che l’affanno duri!

In questo idillio domina ciò che dona giovamento allo spirito facendogli riacquistare quell’equilibrio che può essere drammaticamente spezzato dal dolore, che insieme alla dolcezza coesiste senza mai venire in contrasto, uniti proprio dal rimembrare che supera il dolore e provoca la dolcezza.
La Sera del dì festa è, invece, un “notturno” denso di riflessioni sulla caducità delle cose, il crollo delle illusioni e l’angoscia del nulla, suggeriti dal ripetersi nel presente di un’antica sensazione dell’infanzia:
[…]
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
in sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
piacquero a te: non io, non già, ch’io speri,
al pensier ti ricorro.
[…]
Nella mia prima età, quando s’aspetta
bramosamente il dì festivo, or poscia
ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
premea le piume; ed alla tarda notte
un canto che s’udia per li sentieri
lontanando morire a poco a poco,
già similmente mi stringea il core.

In questi ultimi versi (40-46) il tono ritorna più propriamente lirico per effetto della poetica del ricordo e delle sensazioni indefinite rievocate nel finale: già negli anni della fanciullezza del poeta un dolore simile a quello ora provato nasceva nell’udire un canto che svaniva allontanandosi nella notte. La situazione attuale non è quindi che una ripetizione di quella più antica: la fine del giorno festivo, la veglia notturna, la sofferenza intima e la sua manifestazione esteriore, al voce che muore dissolvendosi nel presente.
Il passaggio dai “piccoli” ai “grandi” idilli porta con sé i segni di una maturazione dell’arte leopardiana, soprattutto riguardo al valore della rimembranza: egli scopre che i ricordi trasfigurano il passato e ricreano nell’animo umano un istante di gioiosa pienezza, a cui, tuttavia, è legata la percezione dolorosa dello scorrere del tempo, capace di cancellare e distruggere ogni cosa (luoghi, persone, affetti,emozioni). Ricordare è sempre dolce (a prescindere dall’oggetto dei ricordi), poiché il passato è una parte della nostra vita che ritorna; tuttavia la memoria attiva anche un doloroso rimpianto, che induce a riconoscere l’irrevocabile scorrere della vita verso la morte. Esemplari realizzazioni di questa poetica sono A Silvia e Le Ricordanze.
In A Silvia riaffiora dal passato l’immagine radiosa e incantata di Silvia, una ragazza del paese precocemente uccisa dalla malattia, nel cui destino il poeta riconosce il precipitare delle sue stesse speranze nell’amaro disinganno dell’età adulta. Il ricordo improvviso della fanciulla morta diviene il simbolo della luminosa bellezza e della caducità delle vaghe speranze dell’adolescenza: ciò suscita la protesta contro la natura e contro l’azione distruttrice del tempo. Dalla dolcezza assoluta del ricordo di Silvia, il canto si rovescia in una disperata attesa della morte e della tomba:
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?
[…]
Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
30 Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
35 e tornami a doler di mia sventura
[…]
Come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
55 mia lacrimata speme!
[…]
60 All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.

Ne Le Ricordanze il poeta torna a contemplare i luoghi familiari dell’infanzia e della prima giovinezza. Da una parte la memoria rievoca le fantasie e i turbamenti giovanili, le speranze, le illusioni, simboleggiate dall’immagine di Nerina che incede fiduciosa, danzando, verso la vita. D’altro canto affiora la consapevolezza di come tutto sia per sempre passato, il desolato sentimento della vana inutilità della vita. Consumato il dramma del rapido e doloroso svanire della giovinezza, resta a Leopardi la certezza della miseria del mondo circostante e della vita:
[…]
Viene il vento recando il suon dell’ora
dalla torre del borgo. Era conforto
questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
quando fanciullo, nella buia stanza,
per assidui terrori io vigilava,
55 sospirando il mattin. Qui non è cosa
ch’io vegga o senta, onde un immagin dentro
non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
Dolce per sé, ma con dolor sottentra
il pensiero del presente, un van desio
del passato, ancor tristo, e il dire:io fui.
[…]
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
o primo entrar di giovinezza, o giorni
vezzosi, inenarrabili…
[…]
169 …Ahi tu passasti, eterno
sospiro mio: passasti: e fia compagna
d’ogni mio vago immaginar, di tutti
i miei teneri sensi, i tristi e cari
moti del cor, la rimembranza acerba.

In primo piano, come si può notare, è ancora una volta la memoria, capace di trasfigurare il passato e, in un certo senso di ricrearlo, conferendo a sensazioni e illusioni antiche una pienezza, una dolcezza e un’autenticità nuove.
Si vuole concludere questa unità didattica con una citazione dallo Zibaldone che riassume ed esemplifica il valore che per Leopardi ha avuto nella sua vita la poesia, filtrata dalla memoria:

«…Uno dei maggiori frutti che io mi propongo e spero da’ miei versi, è che essi riscaldino la mia vecchiezza col calore della mia gioventù; è di assaporarli in quella età, e provar qualche reliquia de’ miei sentimenti passati, messa quivi entro, per conservarla e darle durata, quasi in deposito; è di commuover me stesso in rileggerle, come spesso mi accade, e meglio che in legger poesie d’altri».
(da Zibaldone, p. 4302, Pisa 15 aprile 1828))
VERIFICA

In relazione ai passi dello Zibaldone proposti, chiarire il concetto di
vago e indefinito,strettamente legato alla poetica della rimembranza.
Nella poesia Alla luna, emerge per la prima volta il tema della dolcezza
dei ricordi, fondamentale nell’ispirazione poetica. Come viene
affrontato?
De Le Ricordanze, individua i passi che ti sembrano più significativi in
relazione al tema della memoria.
Definire la poetica dell’idillio, sottolineando i cambiamenti intercorsi nel
passaggio dai “piccoli” ai “grandi” idilli riguardo al tema della
rimembranza.






















BIBLIOGRAFIA

DOLFI A., La doppia memoria. Saggi su Leopardi e il Leopardismo,
Roma 1986.
DOTTI U., Svolgimento della lingua poetica leopardiana, in «Giacomo
Leopardi, Canti», Milano 1993.
FIGURELLI F., Leopardi poeta dell’idillio, Bari 1941.
LEOPARDI G., Zibaldone de’ pensieri, a cura di G. PACELLA, Milano
1991.
LEOPARDI G., Canti, Milano 1993.




















V^ UD MANZONI

TITOLO: La memoria come storia, componente del vero manzoniano.
MOTIVAZIONI: Nell’ambito di tale percorso, la scelta di un autore quale Manzoni è giustificata dal fatto che la conoscenza delle sue opere sia fondamentale nello studio della letteratura italiana. Nel caso specifico del tema trattato, si metterà in evidenza come esso, nell’accezione storica, sia non solo alla base dei componimenti analizzati, ma anche come muti in relazione ai personaggi tratteggiati. In questo modo allievo potrà essere stimolato a ricercare la presenza di tale tematica in opere di taglio e genere diversi.
PRE-REQUISITI: Conoscenza del contesto storico-culturale di riferimento.
Conoscenza degli elementi caratterizzanti del Romanticismo italiano ed europeo.
Conoscenza delle notizie biografiche dell’autore, e dell’evoluzione della sua poetica.
OBIETTIVI SPECIFICI: Comprensione e, dove possibile, attualizzazione della concezione storica di Manzoni.
CONTENUTO: La memoria come rievocazione di alte imprese: il 5 Maggio; come tormentoso passato: atto IV dell’Adelchi; come cantuccio sicuro contro un presente negativo: l’Addio ai monti.

La storia fu un problema fondamentale per la spiritualità manzoniana, non solo in omaggio alla sua poetica romantica, ma anche n rapporto al suo sistema morale e religioso con cui concepì l’arte e la vita stessa. In coerenza con tale spirito egli scrisse le tragedie ed il romanzo, ed in rapporto alle sue opere poetiche compose opere storiche. Pertanto l’opera storica di Manzoni è da considerarsi non solo come contributo storiografico, ma anche come integrazione e spiegazione del suo mondo poetico e morale.
L’interesse di Manzoni è lo studio dell’uomo e della società, che è la causa dei mali dell’umanità: per cui il nostro, partito da una concezione meccanicistica e pessimistica della storia che egli vedeva dominata da ingiustizie e violenze, dopo la conversione fece sua una visione della vita umana in cui finalmente la mano di Dio consolasse e rasserenasse le angosce degli uomini. Per questo la sua sollecitudine fu sempre rivolta agli oppressi, alle vittime del disumano mondo della storia: l’animo con cui il poeta esplorò le vicende di questi umili, fu quello della pietà cristiana, della sua ansia di giustizia, della sua fiducia nella Provvidenza divina, il cui occhio vigilava su oppressori ed oppressi.
Mettendo da parte quello che è il culto manzoniano del vero che è alla base dei suoi componimenti, in questa unità didattica affronteremo e metteremo in evidenza come il concetto di memoria storica assuma aspetti differenti nell’ode dedicata a Napoleone, nel Coro IV dell’Adelchi, e nella parte finale del capitolo VIII dei Promessi Sposi.
Nel 5 Maggio, la memoria storica prende la forma della rievocazione di alte imprese. Qui, però, l’interesse del poeta non è rivolto all’operato di Napoleone: esso viene iscritto in un disegno divino, in una dimensione eterna che, se da un lato annulla e ridimensiona la grandezza dell’uomo, dall’altro in essa si avverte quella di Dio.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;

tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man.[…]

E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
[…]

Nell’ode si individuano tre momenti:
Preambolo (strofe 1-4): morte di Napoleone, atteggiamento del poeta di fronte all’evento.
Qui si riscontrano due opposizioni: immobilità vs rapidità nell’alternarsi delle vicende. L’immobilità della salma, si oppone alla «vece assidua» delle azioni del grande uomo, alla rapida successione di caduta, rivincita e sconfitta definitiva (cadde, risorse,giacque).
Grandezza e gloria vs negatività dell’azione: «tanto spiro, folgorante, tanto raggio», ma anche «cruenta polve»; l’uomo ha seminato con le sue guerre distruzione, sofferenza e morte.
Rievocazione della vicende di Napoleone. In questo nucleo troviamo due parti: la prima (str.5-9) in cui sono narrate le imprese vittoriose, la seconda ( str.10-14) in cui si sofferma sulla sconfitta, sull’esilio, sulla disperazione dell’eroe. La prima opposizione è di tipo spaziale: lo spazio geografico amplissimo (dalle Alpi alle Piramidi) vs la «breve sponda» dell’isola in cui finisce in esilio. Segue, poi, un’opposizione di tipo temporale: il passato (str.5-9), il presente (str.10-13). Ma all’interno del presente si inserisce anche la dimensione temporale del futuro (Napoleone cerca di rivolgersi a posteri con le sue memorie), poi torna il passato, rievocato dalla memoria dell’eroe: il «sovvenir» dei «dì che furono» che assale l’esule (str.13).
L’opposizione temporale ripropone al suo interno, quella che già si offriva nella prima parte (immobilità vs rapidità). Infatti la rievocazione delle imprese napoleoniche insiste sulla rapidità degli spostamenti, sulla dinamicità delle azioni, e sulla repentinità delle trasformazioni. Ancor di più sulla rapidità si sofferma la memoria dell’eroe stesso alla strofa 13 (lampo,mobili); l’esilio a S.Elena, invece, ripropone il tema dell’immobilità.
Conclusione: il soccorso della fede, il trionfo dell’eterno sulla gloria terrena (str.15-18).
I contrasti rilevati nelle strofe precedenti, vengono superati attraverso l’ingresso in una nuova dimensione, fuori dal tempo e dallo spazio: l’eternità («più spirabili aere.. campi eterni»). In questa prospettiva viene ripresa e sviluppata l’opposizione gloria vs negatività dell’azione. Mentre nella prima parte essa è connotata da metafore della luce e del rumore, ora si annulla nel silenzio e nelle tenebre: « il premio ch’era follia sperar» è annullato dal « premio eterno», che supera il desiderio umano. I versi conclusivi ripropongono l’opposizione dinamiso vs immobilità, ma nella nuova dimensione dell’eterno, essa non è sconfitta e tormento, ma diviene conquista della pace nel perdono divino.
In base alle opposizioni che reggono la struttura dell’ode, si può scorgere il tema di fondo: la meditazione sull’azione dei grandi uomini sulla storia. Infatti la vita di Napoleone fu intensa, soggetta a rapide trasformazioni, e a sua volta causa di grandi sconvolgimenti: ma fu positiva? La prospettiva manzoniana è pessimistica: agire nella storia alla ricerca di grandezza, vuol dire provocare distruzioni, sofferenze, raccogliere oltraggi per poi finire nell’inazione, nel tormentoso confronto tra passato glorioso e presente oscuro. L’azione degli eroi nella storia è svalutata nella prospettiva dell’eterno: la morte mette di fronte al vero significato dell’esistenza. Ciò non vuol dire che Manzoni neghi tale possibilità e l’eroismo di individui eccezionali: secondo il poeta essi devono legittimare la loro superiorità ponendola al servizio degli uomini, alleviando, così, miserie ed afflizioni.
Nel Coro IV dell’Adelchi la memoria diviene in Ermengarda tormento, dissidio insanabile tra il ricordo di Carlo e della propria felicità di sposa invidiata, e il desiderio di offrirsi a Dio.
Ahi! nelle insonni tenebre, pei claustri solitari, fra il canto delle vergini, ai supplicati altari, sempre al pensier tornavano gli irrevocati dì;

[…]
quando da un poggio aereo,
il biondo crin gemmata, vedea nel pian discorrere
la caccia affaccendata, e
su le sciolte redini
chino il chiomato sir;

e dietro a lui la furia
de’ corridor fumanti;
e lo sbandarsi, e il rapido redir dei veltri ansanti;
e dai tentati tribol
i l'irto cinghiale uscir;

e la battuta polvere
rigar di sangue, còlto
dal regio stral: la tenera
alle donzelle il volto
volgea repente, pallida d'amabile terror.
[…]
Come rugiada al cespite dell'erba inaridita,
fresca negli arsi calami
fa rifluir la vita,
che verdi ancor risorgono
nel temperato albor;

tale al pensier, cui l'empia virtù d'amor fatica,
discende il refrigerio
d'una parola amica,
e il cor diverte ai placidi gaudii d'un altro amor.

[…]
ratto così dal tenue
obblio torna immortale l'amor sopito, e l'anima impaurita assale,
e le sviate immagini
richiama al noto duol.

Sgombra, o gentil, dall'ansia mente i terrestri ardori;
leva all'Eterno un candido pensier d'offerta, e muori:
nel suol che dee la tenera
tua spoglia ricoprir,
[…]
te collocò la provida sventura in fra gli oppressi:
muori compianta e placida; scendi a dormir con essi.
Alle incolpate ceneri
nessuno insulterà.
[…]

Esso risulta avere una struttura architettonicamente studiata, che poggia su rigorose simmetrie. Le strofe 1 e 2 si raccordano alla scena precedente, ed insieme fanno da preambolo al discorso lirico successivo: esse descrivono Ermengarda morente ma accennano ad un tema centrale, la ricerca della pace nella vita eterna. Nelle strofe 3 e 4 c’è l’intervento del poeta, il quale si rivolge al personaggio: la liberazione dal suo «lungo martir», causato dai «terrestri ardori» è fuori dalla vita; attraverso la sofferenza provocata dalla passione d’amore Ermengarda può divenire santa e degna di salire al« Dio de’ santi».
Segue, poi, la parte centrale (str.5-14): alla costruzione architettonica dei motivi, vi si intreccia un gioco di piani temporali. La lirica prende le mosse da una situazione presente, Ermengarda in punto di morte. Con la strofa 5, è rievocato il passata recente: i tormenti dell’eroina chiusa nel monastero di Brescia dopo il ripudio. Ella cerca di soffocare il suo amore, il ricordo dei giorni felci, ma questi, pur non rievocati, riaffiorano prepotentemente in tutte le ore del giorno, in tutti i luoghi, come potenza ossessiva. Questo martellare di ricordi è reso dall’incalzare anaforico dei complementi di luogo.
In questa dimensione temporale si inserisce il passato più lontano dei giorni felici (str. 6-10) trascorsi con Carlo: esso prende corpo in due scene che ricostruiscono due momenti tipici della vita di una corte medievale.
Con la strofa 11, si ritorna al passato recente del soggiorno in monastero: è descritta più minuziosamente la condizione psicologica della donna, tormentata dai ricordi e dal risorgere della passione, attraverso la similitudine del cespo d’erba che riprende vita grazie alla rugiada, ma poi è incendiato dalla vampa del sole. Ritorna, quindi, il motivo della potenza empia dell’amore, che assale l’anima impaurita dell’eroina (str. 11-14).
La strofa 15 riprende testualmente i versi iniziali della 3, e ripropone il tema della liberazione dal tormento che è possibile solo nella morte. Si torna così, chiudendo il circolo, al livello temporale del presente, l’agonia di Ermengarda, da cui era partito il movimento lirico. Torna anche il motivo della purificazione attraverso la sofferenza, che si precisa nella famosa formula della «Provvida Sventura»: alla strofa 3 la sventura della donna appariva provvida perché le consente di salire a Dio« santa del suo patir»; qui è tale perché la libera dalla colpa di appartenere alla stirpe degli oppressi, impedendole di macchiarsi delle colpe degli oppressori, e consentendole di salvarsi.
Ella muore guardando il cielo, ansiosa di trovarvi la pace e la liberazione dai suoi tormenti. Nella morte, oltre alla pace, riacquista quel ideale di verginità interiore, che l’urto della passione terrena aveva contaminato.
Invece nell’Addio ai monti, la memoria diviene un cantuccio sicuro contro le brutture di un presente negativo.
Addio monti sorgenti dall'acque ed elevati al cielo cime inuguali note a chi è cresciuto tra voi e impresse nella sua mente non meno che l’aspetto de' suoi familiari torrenti de' quali si distingue lo scroscio come il suono delle voci domestiche ville sparse e biancheggianti sul pendìo come branchi di pecore pascenti addio! Quanto è tristo il passo di chi cresciuto tra voi se ne allontana! […]Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo chi aveva composti in essi tutti i disegni dell'avvenire e n'è sbalzato lontano da una forza perversa! Chi staccato a un tempo dalle più care abitudini e disturbato nelle più care speranze lascia que' monti per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere e non può con l'immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio casa natìa dove sedendo con un pensiero occulto s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un misterioso timore Addio casa ancora straniera casa sogguardata tante volte alla sfuggita nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa Addio chiesa dove l'animo tornò tante volte sereno cantando le lodi del Signore dov'era promesso preparato un rito dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto e l'amore venir comandato e chiamarsi santo addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto e non turba mai la gioia de' suoi figli se non per prepararne loro- una più certa e più grande.
Alla fine dell’VIII capitolo dei Promessi Sposi, Manzoni realizza una descrizione paesaggistica e dei sentimenti di Lucia di grande effetto: Lucia e Renzo si stanno allontanando dal loro paese su una barca. La rappresentazione mette in evidenza il triste pensiero della ragazza, costretta da un giorno all’altro ad abbandonare la sua terra natìa dove, prima dell’oltraggiosa offesa di Don Rodrigo, si sentiva sicura protetta.
Nel completo silenzio, quando l’occhio cade sul palazzotto di Don Rodrigo e sulle sue proprietà, l’immagine corrisponde ad una minaccia. Ella, quindi, non può fare altro che piangere segretamente: «Lucia lo vide, e rabbrividì. Pesò sul braccio la fronte come per dormire e pianse segretamente».
Nella descrizione del paesaggio, Manzoni ritrae tutti i minimi dettagli dell’ambiente circostante, perché Lucia sta lasciando alle spalle qualcosa di veramente amato. Intensissima è la commozione nella contemplazione sofferta di quel paesaggio, in cui ella legge la sua storia, i suoi sogni di sposa, le sue preghiere, la promessa fiduciosa del suo Dio che non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per darne loro una più certa e più grande.
Tale commozione viene sottolineata da motivi stilistici profondamente lirici: invocazione agli elementi del paesaggio (monti…cime…torrenti…ville), le anafore e le riprese (addio, monti…addio casa natia dove…addio casa ancora straniera…), le clausole ripetute (addio…addio), l’aggettiazione scelta. Ma si può parlare di lirica soprattutto perché il punto di vista è quello soggettivo di un personaggio e perché l’andamento è contemplativo e memoriale. Però questi elementi sono sottoposti ad una riduzione: lo stile tende alla medierà, il punto di vista soggettivo è filtrato dal punto di vista dell’autore (Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Lucia…); la sospensione lirica è controbilanciata da spunti narrativi. In questo modo la lirica è trascritta nel linguaggio del romanzo.

VERIFICA
Nel Cinque Maggio, si individuino le successioni dei piani temporali in cui si distribuisce la materia della poesia e la vicenda di Napoleone.
Da quali punti di vista e con quali diverse scelte stilistiche sono rievocate le gesta di Napoleone?
Confrontare la morte di Ermengarda con quella di Napoleone.
Quale soluzione esistenziale offre Manzoni al dolore e al delirio di Ermengarda?
Perché sotto l’ala di Dio Lucia può essere addolorata, non disperata? Qual è il significata della Provvidenza manzoniana? E’ possibile l’idillio in Manzoni?

BIBLIOGRAFIA
Manzoni A., Tutte le poesie, a cura di G. Lonardi e P. Azzolini, Venezia, 1997.
Manzoni A., Adelchi, a cura di Santini, Gerzia, Volpicelli, Blazina, Milano, 1991.
Manzoni A., I Promessi Sposi, a cura di Chiari e Ghisalberti, Mondadori, Milano, 1954.
Lonardi G., L’esperienza stilistica del Manzoni tragico, Firenze, 1965.
Pupino A., Manzoni. Religione e romanzo. Salerno editrice, Roma.
Raimondi E., Il romanzo senza idillio, Einaudi, Torino, 1974.
Terracini B., Analisi del Cinque Maggio, in Analisi stilistica, Milano, 1966.


VI^ UD FOSCOLO

TITOLO: La memoria come garanzia di sopravvivenza dopo la morte
MOTIVAZIONE: Foscolo rappresenta l’uomo che assomma in sé l’illuminista, convinto assertore del materialismo, e l’uomo romantico, che cerca e trova nella memoria del passato l’anelito di speranza per il futuro.
La sua produzione, quindi, può essere considerata un fondamentale momento di passaggio tra due secoli e due epoche; in particolare viene evidenziata in questa unità la dimensione del ricordo come bisogno umano che lega in una magica continuità il passato e il presente.

PRE-REQUISITI:

Conoscenza del contesto storico - culturale di riferimento.
Conoscenza degli aspetti generali dell’Illuminismo e del Romanticismo italiano ed europeo.
Conoscenza della storia biografica e del percorso culturale dell’autore.
Conoscenza delle linee fondamentali della poetica dell’autore.

OBIETTIVI SPECIFICI:
Cogliere, analizzare ed interiorizzare il tema della memoria in Foscolo, funzionale sia al recupero degli affetti più cari che all’eternizzazione di valori civili e patriottici.

CONTENUTO: Funzione della memoria nel carme “I Sepolcri” (1806) e nell’ ode “All’ amica risanata”.

La valorizzazione delle memorie del passato è il vero tema dei Sepolcri. La dimensione del ricordo è perlustrata nel lungo carme in tutte le sue articolazioni: personali, storiche, civili ed infine anche attraverso alcune suggestive rievocazioni di leggende del mondo greco ( che fungono da veri e propri emblemi mitologici attualizzati ). Strutturalmente il ricordo per Foscolo è desiderio di permanenza di alti valori, fama di gloriose imprese, ma anche - privatamente - testimonianza di affetti dopo la morte, continuità nell'impegno civile, pietà verso la sventura dei caduti. Quindi, come si vede, l'area semantica del concetto tocca tutte le sfere dell'immaginario poetico foscoliano, ma, prima di tutto, coinvolge profondamente la personalità dell'uomo-Foscolo. Una costante è leggibile: la memoria del passato non è mai pura rievocazione, ma essa ha sempre come obiettivo il futuro, in cui si oggettiveranno i valori che il passato ha espresso. Il ricordo è innanzitutto annullamento dell'oblio naturale dato dal trascorrere del tempo ( che distrugge le testimonianze materiali delle azioni umane ). Tale annullamento degli spazi temporali si realizza sfruttando ogni strumento in possesso dell'uomo, capace di rinsaldare il suo sguardo verso ciò che non è più: il sepolcro innanzitutto e poi la poesia che rende immortale quanto è altrimenti irrevocabile.
Sinteticamente si richiamano i versi che nel carme richiamano il tema della memoria.

VV.16-22 (Tesi materialistica): La Ragione ci dice che la morte è negazione di ogni valore umano: il sepolcro sembra essere inutile, il ricordo impossibile in quanto il tempo con la sua forza irresistibile è destinato ad eliminare ogni traccia della vita dell'uomo sulla Terra.

Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve
tutte cose l'obblío nella sua notte;
e una forza operosa le affatica
di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe
e l'estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo.

vv. 23-40 (L’illusione del sepolcro): L' illusione della sopravvivenza è affidata alle tombe: l' uomo può illudersi di continuare a vivere anche dopo la morte, poiché la tomba mantiene vivo il ricordo ed istituisce un rapporto affettivo con i familiari e gli amici. La possibilità di un rapporto affettivo tra morti e vivi strappa l' uomo alla sua condizione effimera e gli conferisce quasi l' immortalità che è propria degli dèi.

Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l'illusîon che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l'armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de' suoi? Celeste è questa
corrispondenza d'amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l'amico estinto
e l'estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall'insultar de' nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.

vv. 91-96 (Valore storico delle tombe): Intorno alle tombe si raccolgono inoltre i valori fondamentali di un popolo: esse sono dunque un metro per misurare il grado di civiltà di una società. Solo la capacità di richiamare il senso del passato fa nascere le tradizioni civili dei popoli.
Dal dí che nozze e tribunali ed are
diero alle umane belve esser pietose
di se stesse e d'altrui, toglieano i vivi
all'etere maligno ed alle fere
i miserandi avanzi che Natura
con veci eterne a sensi altri destina.
Testimonianza a' fasti eran le tombe,
ed are a' figli; e uscían quindi i responsi
de' domestici Lari, e fu temuto
su la polve degli avi il giuramento:
religîon che con diversi riti
le virtú patrie e la pietà congiunta
tradussero per lungo ordine d'anni.


vv. 151- 154 e 186 – 197 ( le tombe dei Grandi):
Nella terza parte del Carme, si affronta il tema del valore civile delle tombe: il sepolcro nasconde precisi valori che l'età presente ha il dovere di attualizzare. In questa prospettiva il ricordo del passato viene stimolato proprio dai vincoli storici del presente, che significativamente rinvia ai momenti più gloriosi della tradizione nazionale. Il poeta ci parla delle tombe dei Grandi Italiani del passato (Machiavelli, Michelangelo, Galileo, Dante, Petrarca, Alfieri) il cui ricordo dura nei secoli. Domina in questa parte il motivo delle tombe di Santa Croce che stimolano gli animi generosi a compiere grandi azioni e rendono sacra la terra che le accoglie. Foscolo dedica un elogio a Firenze sia per la bellezza del suo paesaggio, sia per le sue glorie letterarie, ma soprattutto perché accoglie le glorie italiane, le uniche rimaste da quando iniziò a manifestarsi con la dominazione straniera il declino politico dell' Italia. Ma proprio dalle memorie del passato può venire lo stimolo al riscatto. Il giorno in cui si presenterà di nuovo una speranza di gloria alle anime generose dei patrioti italiani, dalle tombe dei Grandi del passato si trarrà ispirazione ad agire. Questo è il senso dell'interrogazione di Alfieri.

151 A egregie cose il forte animo accendono
l'urne de' forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta.

186 Che ove speme di gloria agli animosi
intelletti rifulga ed all'Italia,
quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi
venne spesso Vittorio ad ispirarsi.
Irato a' patrii Numi, errava muto
ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo
desîoso mirando; e poi che nullo
vivente aspetto gli molcea la cura,
qui posava l'austero; e avea sul volto
il pallor della morte e la speranza.
Con questi grandi abita eterno: e l'ossa
fremono amor di patria.

vv. 226-234 (La poesia perpetua il ricordo del passato): Nella parte finale del carme si fa riferimento ad un mezzo ulteriore, che può venire in aiuto alla memoria umana. Quando il tempo avrà distrutto materialmente ogni monumento e resto delle passate civiltà, sarà la poesia con i suoi grandi miti ( vicende e leggende dal valore universale) a tramandare ricordi e valori delle antiche civiltà ai posteri. Sulla poesia si regge la tradizione dei singoli popoli.

E me che i tempi ed il desio d'onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de' sepolcri, e quando
il tempo con sue fredde ale vi spazza
fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
di lor canto i deserti, e l'armonia
vince di mille secoli il silenzio.

vv. 235-295 (Il mito di Troia): A partire dal valore della poesia come strumento eternatore di memorie, viene da Foscolo proposto un mito dal forte valore attualizzante. E' rievocata la memoria della città di Troia, attraverso quattro grandi immagini emblematiche: La ninfa Elettra, la profetessa Cassandra, il poeta Omero e l'eroe Ettore, il valoroso e sfortunato avversario di Achille. Ognuno di questi personaggi leggendari è emblema di una forma di ricordo. Elettra diviene, attraverso il culto ad essa riservato per volere di Giove, divinità protettrice di Troia, Cassandra avrà il compito di ricordare alle nuove generazioni troiane il destino funesto della città ma anche la sua dignità culturale e storica, Omero infine perpetuerà l'eroismo disinteressato di Ettore per la sua patria, tanto da farne un modello d'azione per ogni futuro combattente per la libertà.

Ed oggi nella Troade inseminata
eterno splende a' peregrini un loco,
eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,
onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta
talami e il regno della giulia gente.
Però che quando Elettra udí la Parca
che lei dalle vitali aure del giorno
chiamava a' cori dell'Eliso, a Giove
mandò il voto supremo: - E se, diceva,
a te fur care le mie chiome e il viso
e le dolci vigilie, e non mi assente
premio miglior la volontà de' fati,
la morta amica almen guarda dal cielo
onde d'Elettra tua resti la fama. -
Cosí orando moriva. E ne gemea
l'Olimpio: e l'immortal capo accennando
piovea dai crini ambrosia su la Ninfa,
e fe' sacro quel corpo e la sua tomba.
Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto
cenere d'Ilo; ivi l'iliache donne
sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando
da' lor mariti l'imminente fato;
ivi Cassandra, allor che il Nume in petto
le fea parlar di Troia il dí mortale,
venne; e all'ombre cantò carme amoroso,
e guidava i nepoti, e l'amoroso
apprendeva lamento a' giovinetti.
E dicea sospiranda: - Oh se mai d'Argo,
ove al Tidíde e di Läerte al figlio
pascerete i cavalli, a voi permetta
ritorno il cielo, invan la patria vostra
cercherete! Le mura, opra di Febo,
sotto le lor reliquie fumeranno.
Ma i Penati di Troia avranno stanza
in queste tombe; ché de' Numi è dono
servar nelle miserie altero nome.
E voi, palme e cipressi che le nuore
piantan di Priamo, e crescerete ahi presto
di vedovili lagrime innaffiati,
proteggete i miei padri: e chi la scure
asterrà pio dalle devote frondi
men si dorrà di consanguinei lutti,
e santamente toccherà l'altare.
Proteggete i miei padri. Un dí vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l'urne,
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
splendidamente su le mute vie
per far piú bello l'ultimo trofeo
ai fatati Pelídi. Il sacro vate,
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante
abbraccia terre il gran padre Oceàno.
E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane.

Nell’ode “All’amica risanata” (1802) ritorna il tema dell’immortalità che si ottiene con la memoria. L’unico modo per rimanere nella mente dei posteri è attraverso la poesia che rende le persone immortali. Antonietta ha le qualità necessarie affinché il Foscolo le canti nella sua poesia e così con lui lei possa rivivere per sempre nei secoli.
vv. 91- 96 Funzione eternatrice della poesia:

ond’io, pien del nativo
aer sacro, su l’ itala
grave cetra derivo
per te le corde eolie,
e avrai divina i voti
fra gl’inni miei delle insubri nipoti.


METODOLOGIA

Introduzione del tema della memoria in Foscolo attraverso un lavoro di gruppo basato essenzialmente sulla tecnica del feed back per recuperare le conoscenze sull’autore, già affrontate nell’anno scolastico precedente.
Analisi testuale attraverso una lezione frontale.
Lettura di testi critici.


VERIFICA

Verifica individuale di analisi e commento dei versi in oggetto;
Produzioni: verifiche strutturate e semistrutturate a risposta aperta;
Relazioni orali e scritte.


PROPOSTE DI LAVORO

In relazione ai versi proposti de “I sepolcri” individuare i punti del testo in cui Foscolo esprime una concezione materialistica della natura e come questa venga superata.
Indicare in quali versi il Foscolo precisamente individua e sottolinea l’importanza del culto dei morti all’interno della storia dell’umanità.
Può la memoria essere funzionale alla creazione di una coscienza nazionale?
Sottolinea i punti del carme in cui il poeta rievoca la funzione storica della memoria.

STRUMENTI
BALDI G., GIUSSO S., RAZETTI M., ZACCARIA G. Dal testo alla storia dalla storia al testo, Letteratura italiana con pagine di scrittori stranieri, analisi dei testi, critica, Paravia.
BINNI W. Foscolo e la critica: storia e antologia della critica, La Nuova Italia, Firenze, 1967.
MARCHESE G. La Poesia del Foscolo: sonetti, odi, sepolcri, brani delle grazie, Mori, Palermo, 1964.
ZANOBINI F., Il presente della memoria, Bulgarini, Firenze, 1990, vol.2.

lunedì 26 maggio 2008

Modulo Pirandello: Unità Didattica 5

V UNITA’ DIDATTICA

PIRANDELLO E IL SUO TEMPO



Finalità: Questa unità didattica rappresenta un po’ l’anello di congiunzione tra le varie parti del modulo, ma si differenzia da esse per un approccio all’argomento comune di tipo più teorico. Allo studente che, attraverso la lettura guidata dei testi, ha acquisito e rielaborato i concetti basilari, si chiede ora di saper utilizzare quelle stesse conoscenze in contesti diversi da quelli di partenza e all’interno di un discorso di tipo interdisciplinare. Obiettivo è far conoscere l’autore attraverso la “cultura” della sua epoca, evidenziando i punti di contatto e le differenze tra il suo pensiero e quello di altri operatori culturali (filosofi e scrittori) europei, osservando il rapporto tra tradizione ed innovazione all’interno del suo sistema espressivo ed interpretando sia in senso storicizzante che in senso attualizzante la trasposizione letteraria della sua filosofia di vita.

Materie coinvolte: Italiano, Storia e Filosofia

Prerequisiti:
Conoscenza dei fattori materiali (biografici, individuali, psicologici, sociali e di storia locale) che hanno influenzato il pensiero di Pirandello.
Conoscenza delle principali opere e della poetica dell’autore
Assimilazione e rielaborazione dei concetti acquisiti mediante la lettura e l’analisi dei passi antologici estratti da opere appartenenti ai generi della novella, de romanzo e del teatro.

Obiettivi Specifici:
Individuare e quindi contestualizzare i modelli culturali e le poetiche dominanti di una determinata epoca
Individuare il rapporto tra fattori materiali ed ideali nella produzione letteraria di Pirandello
Conoscere e verificare nei testi gli aspetti e le fasi evolutive del pensiero di Pirandello rispetto a quello di altri autori europei a lui precedenti e contemporanei
Orientarsi nel rapporto tra influenze ed originalità
Formulare giudizi motivati in base al gusto personale e ad interpretazioni storico critiche.
Rielaborare criticamente i contenuti assimilati

Contenuti:
Pirandello nella cultura europea.
Testi: M. Proust. Dalla parte di Swann (Alla ricerca del tempo perduto)
L. Pirandello. La fabbrica dei ricordi ( I vecchi e i giovani)
La “filosofia” di Pirandello tra influenze ed originalità

Metodologie:
Lezione frontale
Lettura collettiva e analisi guidata dei testi
Ricerca di parole chiave
Discussione partecipata

Tempi: 5 ore
Strumenti: fotocopie dei passi antologici, lavagna, saggi critici.

Spazi: aula

Verifica: Questionario di riepilogo.

Articolazione dell’unità didattica:
Lezione 1
Lezione 2
Lezione 3

Lezione 1: La prima lezione si compone di due parti, una più propriamente teorica nella quale si pongono allo studente questioni di natura metodologica. Gli si chiede, cioè, di comprendere, attraverso l’enunciazione dei concetti di periodizzazione e di cultura, la complessità dei fattori che hanno inciso sulla formazione dell’autore e sulla sua visione del mondo. La spiegazione si incentra, infatti, sul contesto nazionale ed internazionale, del quale si indicano non solo i principali avvenimenti ma anche le loro radici storico-ideologiche. Il punto centrale è rendere, di un dato arco di tempo, l’intreccio tra le strutture materiali, la storia del pensiero e le correnti letterarie; più in generale tra le linee- guida di una cultura e la specificità delle risposte fornite dai singoli operatori culturali. La seconda parte è, invece, più didattica; attraverso la lettura collettiva e l’analisi intertestuale esterna dei passi tratti dai romanzi Alla ricerca del tempo perduto di M. Proust e i Vecchi e i giovani di Pirandello, si fornisce allo studente un esempio concreto del rapporto di reciproca influenza tra due autori che, seppur diversissimi tra loro, rispondono originalmente agli stessi stimoli culturali. (Durata 2 ore)

Lezione 2: In questa seconda lezione si cerca di esporre in maniera critica il pensiero dell’autore, dirigendo l’attenzione della classe sui concetti fondamentali, sottolineati più volte con l’ausilio di parole chiave, citazioni di opere e continui accostamenti a sistemi di idee analoghi. Gli argomenti trattati sono continuamente problematizzati in modo da educare lo studente al senso della complessità sia letteraria che culturale e in modo da stimolare in lui riflessioni personali sulla modernità del messaggio apportato dall’autore. (Durata 1 ora)

Lezione 3 :Discussione partecipata ( Durata 30 minuti)
Questionario di riepilogo diviso tra domande a risposta multipla utili per fissare concetti precedentemente assimilati e domande a risposta aperta sui nuovi contenuti. (Durata 1 ora e 30 minuti)


SVOLGIMENTO DEI CONTENUTI

Lezione 1: Pirandello nella “cultura” europea

Per poter comprendere a fondo il pensiero e l’opera di Pirandello è importante individuare i diversi fattori che condizionano la sua visione del mondo; fattori materiali, locali e contingenti legati alla biografia, come il contesto storico di origine, l’esperienza di formazione e la vita privata; fattori ideali legati alla presenza di una “cultura”, ossia di un sistema di idee sufficientemente unitario di cui l’autore ed altri intellettuali europei (scrittori, filosofi, artisti), provvisti di storie diversissime dalla sua, si rendono a vario titolo interpreti e protagonisti. In questo modo il concetto di “cultura” si estende ad includere tutti gli ambiti disciplinari (letteratura, filosofia, storia, arte, linguistica, sociologia) che partecipano sullo stesso piano, ma in modi diversi, alla formazione di un sistema generale di significati.
In questa unità si parte dalla periodizzazione perché è importante chiarire le radici storiche degli eventi che, nel lungo arco di tempo in cui è vissuto l’autore, hanno determinato con una certa accelerazione il passaggio alla “modernità” e la nascita della società di massa.
Sul piano internazionale il periodo che va dal 1890 al 1915 può essere definito storicamente, politicamente e culturalmente, l’età dell’imperialismo coloniale, molti Stati, europei e non, si affermano come potenze industriali ma la supremazia economico-politica si realizza con l’autoritarismo e la guerra (“pangermanesimo”tedesco, “boulangismo” francese); il mondo (Asia, America centrale e Africa) viene diviso in sfere d’influenza. Sul fronte interno, in quasi tutti i paesi industrializzati si diffonde, come reazione ai mali del capitalismo, il movimento sindacale e il socialismo;
sul piano nazionale alla nascita del Regno d’Italia fanno seguito i problemi dello Stato unitario nell’età della Destra e della Sinistra storica (1861-1876, 1876-1903); il trasformismo politico inaugurato dalla politica autoritaria e coloniale di Francesco Crispi, ( fasci siciliani 1894, sconfitta di Adua 1896); la diffusione del socialismo; la crisi di fine secolo e l’età giolittiana (governo liberale, riforme sociali, guerra Italo-Turca 1911-1912 e conquista della Libia); la partecipazione alla prima guerra mondiale (1915-1918); la crisi dello Stato liberale; l’affermazione dell’ideologia nazionalista e il ventennio fascista (1922-1945).
Sul piano culturale si registra lo sfaldamento delle certezze scientifiche maturate dal positivismo, viene meno la fiducia nel valore oggettivo della scienza, non più capace di fornire modelli di conoscenza e di sistemazione globale della realtà; la teoria quantistica della relatività (Einstein) rovescia le antiche categorie di spazio e di tempo respingendo ogni concezione deterministica e organicistica della natura. Il passaggio dalla scienza alla tecnica, avvertito positivamente quando si trattava di ottenere il dominio della natura fisica e biologica, ora viene avvertito come una minaccia, poiché esso ha investito il campo più propriamente "umano"; l'uomo in nome di una ragione tecnico-utilitaristica è stato ridotto a semplice oggetto tra oggetti. Di qui l'esigenza di mettere in crisi il concetto di ragione scientifica, quella ragione che non sa cogliere l'originalità dell'esistenza umana nella sua individualità e libertà, quella ragione che si limita a consacrare i fini dominanti delle nazioni coloniali di fine Ottocento. Si ridiscutono i fondamenti della conoscenza e, in modi diversi, si sottolinea l’importanza del punto di vista dell’osservatore interprete. Se da una lato la filosofia neo-idealista di Benedetto Croce dà ancora spazio ad una conoscenza di tipo oggettivo, quella dello spirito che si concreta nella poesia e nell’arte; nuove correnti di pensiero esaltano gli elementi irrazionali, istintivi e fantastici dell’uomo. Le scienze umane come la psicologia, l’antropologia e la sociologia si sganciano dalle loro premesse positivistiche e riflettono sui loro stessi fondamenti, indagano gli aspetti più in ombra della civiltà umana. Si approfondisce il lavoro della psicoanalisi grazie alle teorie di Sigmund Freud sulla suddivisione della psiche in tre livelli: l’Io(coscienza), l’Es (inconscio) e il Super-io (insieme di principi morali a cui l’individuo conforma i propri comportamenti), si diffonde la filosofia nichilista che, in campo letterario, trova espressione nella poesia dei decadenti Pascoli, D’Annunzio, Verlaine, Rimbaud, Baudelaire, Huysmans e Oscar Wilde. Nei primi vent’anni del Novecento, l’evento catastrofico della I guerra mondiale favorisce la consapevolezza della crisi del modello culturale borghese. Ne sono un esempio le esperienze estreme delle Avanguardie letterarie e intellettuali che, al di là dei singoli orientamenti (dadaismo, surrealismo, futurismo, espressionismo e cubismo), si affidano all’irrazionale, mirano a distruggere le forme tradizionali di comunicazione estetica e artistica, sperimentano nel linguaggio nuove forme d’espressione, sconvolgono i tradizionali rapporti tra le cose, politicizzano l’arte e il ruolo dell’artista, impongono un confronto integrale con i segni della modernità: industria, macchine, guerra, slogan pubblicitari. Sul piano letterario, il genere “romanzo”, inadatto a comunicare la ricerca tumultuosa del nuovo, è sostituito dal “frammento”. C’è però una letteratura della “crisi” che, con grande carica conoscitiva, indaga nel fondo più segreto dell’animo umano, svuotando la consistenza dell’io e del reale ed evidenziando lo squilibrio che corrode l’individuo, la società, l’intera civiltà. A quest’ultimo filone si possono ricondurre autori fra loro lontani, ma appartenenti ad un unico spazio culturale: il francese Marcel Proust, che dalle contraddizioni e turbamenti di un mondo in disfacimento ricava un percorso di ricerca del tempo perduto, giungendo a creare con la sua opera una realtà estetica parallela e distinta da quella solo fenomenica; l’irlandese James Joyce, che distruggendo ogni equilibrio linguistico cerca di riprodurre nella scrittura il flusso continuo, molteplice ed indistinto della coscienza; l’austriaco Robert Musil, che costruisce un grande romanzo basato sull’impossibilità di ogni composizione ed un personaggio basato sull’assenza di ogni “qualità”; il tedesco Thomas Mann, che con lucido realismo scompone tutte le complicazioni della coscienza e dell’esistenza borghese; la narratrice inglese Virginia Woolf che, nella sua intensa rappresentazione delle problematiche legate alla condizione femminile borghese, interpreta il tempo come una serie di momenti isolati, riuniti soltanto dall’immaginazione e dall'associazione di idee dei suoi personaggi, (dodici ore in Mrs Dalloway, diversi anni in To The Lighthouse, poche ore in Beetween The Act, tre secoli nell’ Orlando); gli italiani Luigi Pirandello e Italo Svevo. (Durata: 1 ora)
Lettura collettiva e analisi comparata dei seguenti passi antologici:
La memoria involontaria, M. Proust. Dalla parte di Swann (Alla ricerca del tempo perduto). Il passo riporta il più famoso episodio del lungo romanzo Alla ricerca del tempo perduto. Il protagonista, dopo aver imbevuto nel tè la madeleine, una piccola focaccia che soleva mangiare da piccolo la domenica mattina, riesce a riappropriarsi di tutto il mondo della sua infanzia, di tutto il tempo vissuto a Combray quand'era bambino
“ ..Così è per il passato nostro. E' inutile cercare di rievocarlo, tutti gli sforzi della nostra intelligenza sono vani. Esso si nasconde all'infuori del suo campo e del suo raggio di azione in qualche oggetto materiale (nella sensazione che ci verrebbe data da quest'oggetto materiale) che noi non supponiamo. Quest' oggetto, vuole il caso che lo incontriamo prima di morire, o che non lo incontriamo. Già da molti anni di Combray tutto ciò che non era il teatro o il dramma del coricarmi non esisteva più per me, quando in una giornata d'inverno, rientrando a casa, mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di prendere, contrariamente alla mia abitudine, un po' di tè. Rifiutai dapprima, e poi, non so perché, mutai d'avviso. Ella mandò a prendere una di quelle focacce pienotte e corte chiamate « maddalenine», che paiono aver avuto come stampo la valva scanalata d'una conchiglia. Ed ecco, macchinalmente, oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione d'un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzo di «maddalena». Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso m'aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. M'aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, le sue calamità, la sua brevità illusoria, nel modo stesso che agisce l'amore, colmandomi d'un'essenza preziosa: o meglio quest'essenza non era in me, era me stesso. Avevo cessato di sentirmi mediocre, contingente, mortale. Donde m'era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo ch'era legata al sapore del tè e della focaccia, ma la sorpassava incommensurabilmente, non doveva essere della stessa natura. Donde veniva? Che significava? Dove afferrarla?[…] Certo, ciò che palpita così in fondo a me dev'essere l'immagine, il ricordo visivo, che, legato a quel sapore, tenta di seguirlo fino a me. Ma si agita in modo troppo confuso; percepisco appena il riflesso neutro in cui si confonde l'inafferrabile turbinio dei colori smossi; ma non so distinguere la forma, né chiederle, come al solo interprete possibile, di tradurmi la testimonianza del suo contemporaneo, del suo inseparabile compagno, il sapore, chiederle di rivelarmi di quale circostanza particolare, di quale epoca del passato si tratti […] E ad un tratto il ricordo m'è apparso. Quel sapore era quello del pezzetto di «maddalena» che la domenica mattina a Combray ( giacché quel giorno non uscivo prima della messa ), quando andavo a salutarla nella sua camera, la zia Léonie mi offriva dopo averlo bagnato nel suo infuso di tè o di tiglio[…] E, appena ebbi riconosciuto il sapore del pezzetto di " maddalena " inzuppato nel tiglio che mi dava la zia (pur ignorando sempre e dovendo rimandare a molto più tardi la scoperta della ragione per cui questo ricordo mi rendesse così felice), subito la vecchia casa grigia sulla strada, nella quale era la sua stanza, si adattò come uno scenario di teatro al piccolo padiglione sul giardino, dietro di essa, costruito per i miei genitori (il lato tronco che solo avevo riveduto fin allora); e con la casa la città, la piazza dove mi mandavano prima di colazione, le vie dove andavo in escursione dalla mattina alla sera e con tutti i tempi, le passeggiate che si facevano se il tempo era bello..”
Analisi: In questa opera Proust è sicuramente influenzato dalle teorie del filosofo francese Bergson sul modo di concepire il tempo. Egli riduce ogni vicenda, ogni situazione e ogni realtà oggettiva a qualcosa di puramente soggettivo, di modo che esse risultano prive di qualsiasi consistenza e hanno significato solo per l'autore perché sono il frutto di un recupero della memoria all'interno della dimensione inconscia dell'individuo. Proust spiega i meccanismi secondo i quali si avvia il recupero della memoria che è alla base della sua narrazione: in primo luogo il recupero del passato non avviene attraverso la "memoria volontaria", che è intesa come la normale capacità di registrare e ordinare i ricordi del passato, ma attraverso la "memoria involontaria", quella che è capace di restituire in modo irrazionale episodi del passato che si credevano perduti per sempre. A risvegliare e mettere in azione questa memoria basta lo stimolo di una sensazione visiva, o olfattiva, come un profumo o un sapore, perché dentro di noi riaffiori un ricordo legato a quella percezione. Ciò che ha il potere di far ritrovare i giorni trascorsi, rimossi dalla memoria volontaria, sono quei momenti in cui ad una situazione attuale viene a sovrapporsi una situazione passata, simile, che restituisce all'autore un frammento di vita trascorsa. Dunque la memoria è intesa come l'unico vero strumento di conoscenza che l'uomo ha a disposizione. Il narratore - un narratore che necessariamente finisce per coincidere sia con l'autore che con il protagonista ( narratore omodiegetico e autodiegetico)- deve limitarsi a registrare i fatti che emergono attraverso il lavoro della memoria senza la possibilità di dare un fondamento reale a ciò che viene detto. Non si tratta, però, del banale recupero di un dato sepolto, ma della riscoperta di un senso autentico, di una verità profonda e misteriosa in grado di ricomporre l’identita che sembrava perduta. Naturalmente, per compiere una simile operazione, Proust non può servirsi di un ordine lineare e cronologico degli eventi, ma, sconvolgendo i normali piani temporali e spaziali, narra le vicende passando continuamente dal passato al presente, da un luogo all'altro e da un episodio all'altro, a seconda di come esse appaiono alla memoria del narratore. Solo alla scrittura è affidato il compito di ricomporre in struttura consequenziale ciò che il ricordo disordinato dell’io narrante sembra sovrapporre senza attenzione. Il concetto cardine è quello delle intermittenze del cuore.
2. La fabbrica dei ricordi, L. Pirandello ( I vecchi e i giovani)
La trama: È un romanzo sociale di ambientazione siciliana. È la Sicilia dei sanguinosi moti dei "Fasci" del 1893, sconvolta dalle lotte di classe, con i clericali da un lato, (i Laurentano), tesi ad impedire il consolidamento del nuovo regime liberale e la nuova classe dirigente che, incerta sulla direzione da imprimere alla propria vita, disperde nel disordine morale i sacrifici e i meriti acquisiti. Più che casi individuali, i numerosissimi personaggi del romanzo presentano un campionario molto vasto di atteggiamenti. Così il principe don Ippolito Lurentano, fedele suddito borbonico che, per mancanza di fluido adattamento alle esigenze della vita, continua ad indossare le uniformi dell’esercito borbonico e si proietta verso universi ormai inesistenti (la stessa mascherata sarà ripresa nella commedia Enrico IV), don Cosmo Laurentano nobile decaduto intristito nell’ozio, come il Mastro Don Gesualdo di Verga, ma capace di guardare se stesso dal di fuori, di riflettere sulle cose, di confutare la legge della roba di cui pure resta vittima, don Flaminio Salvo, esponente della nuova borghesia capitalista, Roberto Auriti, glorioso garibaldino che si spegne in un'esistenza amorfa, donna Caterina Auriti, rappresentane dei virtuosi che, dietro la purezza ideologica, nasconde una sostanziale paura di vivere. I personaggi rappresentano un contrasto di concezioni e di ideali che si risolve nell’opposizione tra due generazioni: quella che ha fatto l'Unità e che vede perduta l'eredità risorgimentale e quella più giovane che nel gretto conservatorismo dei padri scorge solo la difesa di interessi reazionari.
L’episodio citato coinvolge due personaggi: don Salvo e don Aurelio. Quest’ultimo, figlio di un contadino, diviene ingegnere per generosità di Salvo, ma finisce per restare schiacciato dal peso della riconoscenza. Don Salvo, che sa di rivestire il ruolo del cattivo, in uno dei momenti “liberatori” riflette sull’aspetto esteriore della vita movimentata cui Aurelio è costretto per rendersi utile e lo invita a “vivere” pienamente attraverso la fabbrica dei ricordi.
“Vita mossa la tua [di Aurelio]! Ma forse questa gita è stata speciale. Quando siamo vecchi, ci si accendono così, a lampi, ricordi, visioni lontane di noi stessi quali fummo in certi momenti […] e non sappiamo neppure perché quel momento e non un altro ci sia rimasto impresso e, a un tratto, ci si stacchi e guizzi sperduto nella memoria…”
L’analisi: È il meccanismo della madeleine proustiana che porta la nostra memoria a registrare fatti “inutili” e quindi a “rimuoverli”, per poi tirarli fuori all’improvviso su effetto di sollecitazioni casuali. In Pirandello è molto frequente il ricorso a questa tecnica, ma i suoi personaggi sostano sempre in uno spazio ambiguo, dentro e fuori della propria parte, non c’è mai ricomposizione di una identità. Gli attimi generosi in cui Don Salvo riesce a vedersi con altri occhi sono di breve durata, subito riemerge in lui la parte del profittatore che non esiterà per interesse ad avviare Aurelio verso una sicura morte. Il messaggio che si ricava dalle pagine di questo romanzo, in parte ancora inscritto nel filone verista, è che qualsiasi tentativo di rivolta, condotto esclusivamente sul piano delle buone intenzioni di superficie, delle scelte deliberate e volontaristiche, è destinato a fallire, se prima non si procede ad una rivoluzione radicale delle strutture conoscitive, etiche e psicologiche dell’uomo. Renato Barilli parla di romanzo della “liquefazione” in quanto i caratteri individuali dei personaggi non ci sono più, sono “sovradeterminati”; tutti, sia i buoni che i cattivi intravedono la loro dimensione altra, ma restano prigionieri del dibattito fisso tra le ragioni di superficie e quelle del profondo. Non vi è ancora un punto di vista centrale, quello che segna il passaggio dal comico all’umoristico nei romanzi maggiori, ma una miriade di coscienze, ognuna tale da esemplificare un grado diverso nel processo verso il cambiamento di stato. (Durata 1 ora)
Lezione 2 : La “filosofia” di Pirandello tra influenze ed originalità
Bisogna innanzitutto precisare che per “filosofia” di Pirandello non ci si riferisce all’elaborazione teorica di un sistema di idee, ma alla visione del mondo di un poeta-artista-scrittore che ha saputo indagare in modo originale le più aspre ragioni di conflitto dell’uomo moderno. Il dramma da lui rappresentato è quello della realtà che sfugge ad ogni presa, della condizione umana contratta in un’atroce alternativa: l’abbandonarsi alla rapina della vita, inconsulta e mutevole che con moto perpetuo disfa le forme dell’essere o il restare bloccati nel circolo della propria coscienza, che ci vincola ad un istante ad un evento, ad un’epifania. La problematicità è dentro le cose come nei pensieri e nelle sensazioni. Il mondo della sua arte è fatto di esistenze mancate, di esperienze frustrate, di coscienze lese o incompiute; pensiamo alle somiglianze con l’Ulrich di Musil o con gli inetti di Svevo. Zeno Cosini e Mattia Pascal sono personaggi “in disponibilità”, privi di forti passioni, imprevedibili e incoerenti nei confronti della vita; mentre però per il primo conoscersi significa essere malati, perché la malattia è la condizione stessa del vivere, per il secondo conoscersi significa prendere coscienza della propria forma, estraniarsi, allontanarsi dallo scorrere naturale della vita e quindi morire. È la “filosofia del lontano” dell’eroe estraniato, del “forestiere della vita” che, con atteggiamento umoristico, di irrisione e pietà, osserva se stesso e gli altri uomini imprigionati nella trappola della società borghese, in quella che Macchia chiama la “stanza della tortura”. L’individuo comprende l’inconsistenza di ogni identità, la riconosce fluida e disponibile a venir modellata dagli altri. È la crisi del principio di proprietà psicologica, è l’identificazione bergsoniana tra la cosa e l’immagine della cosa, è la poetica dello specchio, il neànt (nessuno) di Sartre, aperto a frequentare l’essere, a nuotarci dentro, una volta abbattute le rigide categorie dell’Io (Ego di Freud). Questo sul piano teorico si traduce in relativismo conoscitivo, non esiste una posizione privilegiata da cui poter osservare il multiforme reale, non vi è una verità oggettiva, ma una proiezione soggettiva delle cose. Il dualismo soggetto-oggetto, positivismo- spiritualismo con cui fanno i conti tutti i pilastri del pensiero contemporaneo, si risolve in Pirandello nella scoperta di un contatto inedito con le cose, non più utilitario e abitudinario. Si tratta di un momento eccezionale, intuitivo e di scoperta quasi metafisica del mondo, molto simile all’ “intuizione” bergsoniana, all’ epochè husserliana ed anche all’epifania di Joyce. La vitalità dei suoi personaggi si rivela proprio in questi improvvisi scatti dell’immaginazione individuale che, come dice Salvatore Battaglia, “tramutano l’angustia asfittica di un’esistenza in un attimo di sconfinata rivalsa e di insostituibile possesso”( v. Il treno ha fischiato, o Ciaula scopre la luna). È però un attimo che scompare non appena si riduce la carica vitale dell’individuo e torna a galla l’irriducibile contrasto tra vita e forma. La grande novità di Pirandello rispetto alla tradizione di tipo naturalista, verista e decadente, dentro la quale pure si è venuta educando ed atteggiando la sua arte, sta proprio nell’imprevedibile vitalità dei suoi personaggi che, anche nella cruda disperazione, non comunica mai vanificazione e determinismo, ma senso di allarme e di lucida polemica. Frantumando la realtà e disarticolando il fittizio e convenzionale tessuto del vivere con disincantata interpretazione, l’autore ci ha costretti a verificare quel che di autentico e di inalienabile vi è nella natura degli uomini e nella storia della loro vita. Nella prefazione ai Sei personaggi in cerca d’autore Pirandello dichiara apertamente la sua appartenenza alla categoria degli scrittori filosofi che, diversamente da quelli più propriamente storici, non si limitano a rappresentare una figura di uomo o di donna per il puro gusto di rappresentarla o per compiacimento estetico, ma per farne il soggetto di una indagine profonda sul senso della vita,( funzione filosofica della letteratura).
L’avanguardismo di Pirandello è ancora vivo, risiede nei contenuti della sua opera così dolenti e amari e pur sempre attuali: solitudine dell’uomo, incapacità di comunicare, paura di vivere, ricorso all’irrazionale e al patologico dell’inconscio, senso del vuoto e della morte. (Durata 1 ora)
Lezione 3 Questionario di riepilogo.
5 domande a risposta multipla:
Quale romanzo segna l’inizio della carriera letteraria di Pirandello?
A) Il Fu Mattia Pascal
B) Il berretto a sonagli
C) L’esclusa
D) Sei personaggi in cerca d’autore
Come definisce Pirandello l’umorismo?
E) Il sentimento del contrario
F) L’avvertimento del contrario
G) La comicità
H) Uno sguardo penetrante
Si può parlare di verismo pirandelliano?
I) No, con Pirandello crollano l’univocità d’interpretazione della realtà e la descrizione del fatto obiettivo.
J) Sì, in special modo per l’analisi oggettiva dell’ambiente siciliano
K) Sì, Verga costituisce una guida essenziale per la produzione pirandelliana
L) Parzialmente i personaggi pirandelliani ricalcano le orme di quelli veristi
In che senso Mattia Pascal fa parte della galleria degli inetti del “romanzo nuovo”?
M) Perché, vittima della famiglia e della società che lo circonda, non sa reagire
N) Perché, evaso volontariamente e con la complicità di casi fortuiti da una realtà opprimente, è incapace di costruirsi un’esistenza libera, a sua immagine
O) Perché inscena il suicidio di Adriano Meis e ritorna a casa coma Mattia Pascal
P) Perché, tornato al suo paese sarà incapace riattrarre a sé la sua famiglia
In quale opera di Pirandello si può rilevare specificamente la tecnica del “teatro nel teatro”?
Q) Liolà
R) Sei personaggi in cerca d’autore
S) Il gioco delle parti
T) Uno, nessuno e centomila.


11 domande a risposta aperta
Prova a spiegare in che modo l’intreccio tra fattori materiali e fattori ideali incide sulla formazione culturale di Pirandello.
Definisci i concetti di “cultura” e di “periodizzazione”.
Ci sono teorie filosofiche e/o poetiche che interessarono Pirandello?
Individua le parole chiave presenti nei testi messi a confronto; riporta i passi in cui, secondo te, il pensiero di Pirandello richiama quello di Proust e motivane, se ci sono, le differenti soluzioni.
Cos’ è per Proust la “memoria involontaria” ?
Renato Barilli definisce “I vecchi e i giovani” romanzo della liquefazione. Cosa intende?
Tilgher riconosce nel contrasto tra vita e forma la concezione filosofica di Pirandello. Di cosa si tratta? È possibile per i personaggi delle sue opere sfuggire a questo irriducibile conflitto?
Cosa sono le “epifanie” e che valore hanno per Pirandello? Sai indicarmi quali altri autori utilizzano questo concetto?
Individua gli elementi di rottura con la tradizione e di novità presenti nella sua produzione.
Prova a spiegare sinteticamente i concetti di relativismo conoscitivo e di “filosofia del lontano”.
La produzione novellistica, romanzesca e teatrale di Pirandello presenta una certa identità di temi. Individuali e prova a darne una interpretazione in chiave attualizzante.
Bibliografia
S. BATTAGLIA, Il senso della vita nell’opera di Luigi Pirandello, Edizioni di Filosofia, Torino, 1962.
R. BARILLI, La linea Svevo- Pirandello, Mursia, Milano, 1988.